Recensione: The Man Who Would Not Die

Di - 29 Luglio 2008 - 0:00
The Man Who Would Not Die
Band: Blaze Bayley
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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79

Alexander Cook “Blaze” Bayley lo conosciamo tutti. Balzato alle cronache dei più disattenti dopo il suo approdo alla corte degli Steve Harris’ Iron Maiden, successivamente al ruolo di singer ricoperto nei Wolfsbane, il Nostro si è caricato sulle spalle per ben cinque anni tonnellate di insulti da molti die hard fan della Vergine di Ferro inglese, che proprio non riuscivano a digerirlo dietro al dorato microfono che fu di Paul Di’Anno prima e di Bruce “Bruce” Dickinson poi. Da li lo split.

Ma, si sa, un vero metallaro inglese è duro a morire. Il buon Blaze, quindi, ricomincia da se stesso e sforna, grazie alla popolarità che comunque viene associata al Suo nome, tre buoni dischi solisti – più il doppio live del 2003 – , con una band che cambia di line-up con la velocità con la quale i Nostri politici si rimangiano le promesse. Dall’ultimo Blood and Belief del 2004 è mutata totalmente la formazione, il monicker – da “Blaze” a “Blaze Bayley” – e il peso specifico del vocalist: grande compagnone dopo i concerti insieme con i fan a suon di pinte di birra e quindi soggetto a evidenti lievitazioni della propria circonferenza.            

Ebbene, se servono quattro anni all’ex Wolfsbane – eccettuando i recenti Dvd, Best of e singolo – per mettere sul mercato un monolite come The Man Who Would Not Die, aspettiamoci un capolavoro nel 2012.     

Il disco è un blocco di granito metallico quadrato, inesorabile e dalla potenza disarmante. Le dodici scaglie che lo compongono sono mediamente di alta fattura anche se, come tali, in dipendenza della vena contenuta nella composizione della roccia, variano per qualità e quantità.

La sporca dozzina si divide in partiture che fanno riferimento a band cardine del genere, nella loro accezione più classica, dura, ruvida e intransigente. Quindi Judas “Fuckin” Priest in The Man Who Would Not Die, Blackmailer e Waiting For My Life To Begin, Saxon in Samurai, Primal Fear (The Truth Is One), Iron Maiden (While You Were Gone, At The End Of The Day – il lento del lotto – e Voices From The Past), Running Wild (Smile Back At Death, Robot e Serpent Hearted Man) per finire con un episodio che guarda all’HM modernista (A Crack In The System).

I quattro pard di Blaze sono assolutamente all’altezza della situazione in ogni occasione garantendo grande potenza e una sicurezza esecutiva di alto livello. Produzione “carica” quanto basta in questi casi.  

Molti potranno tranquillamente obiettare che se al posto di Blaze dietro al microfono di The Man Who Would Not Die ci fosse stato, che so, un Ralf Scheepers, si sarebbe qui ora a osannare una delle migliori uscite di HM classico e incontaminato del lustro, probabilmente a ragione. Ma la realtà è che a cantare insieme ai vari Bermudez (due), Walsh e Peterson, c’è un ragazzo del ’63 dal nome altisonante che a dispetto delle critiche non ha la minima voglia di mollare. E di questo gli va dato atto. Tornando all’album, come al solito, si tratta di gusti e sensazioni strettamente personali, nell’occasione sollecitati al massimo da un singer che da sempre divide: o lo si ama o lo si odia. 
 

Stefano “Steven Rich” Ricetti         

 
Tracklist:
1. The Man Who Would Not Die
2. Blackmailer
3. Smile Back At Death
4. While You Were Gone
5. Samurai
6. A Crack In The System
7. Robot
8. At The End Of The Day
9. Waiting For My Life To Begin
10. Voices From The Past
11. The Truth Is One
12. Serpent Hearted Man
 
Line-up:
Vocals – Blaze Bayley
Guitars – Nico Bermudez
Guitars – Jay Walsh
Bass – David Bermudez
Drums – Larry Peterson 
 

 

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