Recensione: The Monad of Creation

Di Giuseppe Abazia - 3 Luglio 2005 - 0:00
The Monad of Creation
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Anno: 2005
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82

Nuova fatica per questi misteriosi doomsters australiani (i nomi dei componenti del gruppo non si conoscono e rarissime sono le loro foto), uno fra i gruppi più estremi e meno accessibili di tutto il panorama doom. Fautori di un funeral doom assolutamente senza compromessi e lontano da qualsiasi influenza gothic, la “congregazione”, dopo aver pubblicato una lunga serie di demo e di splits con altri gruppi doom (tutto questo materiale è stato poi raccolto nel doppio cd The Dawning of Mournful Hymns), si ripresenta più pesante che mai col suo primo vero full-lenght, The Monad of Creation, un capolavoro come solo dai Mournful Congregation ci si poteva aspettare.

Le coordinate della loro musica sono essenzialmente quelle tipiche del death/doom (di cui il funeral doom è un’estremizzazione), ma esasperate all’inverosimile. L’incedere è assolutamente funereo, la lentezza e la lunghezza delle composizioni non lasciano scampo e la loro oppressività monolitica è sbattuta nelle orecchie dell’ascoltatore senza alcun compromesso (non vi è una sola accelerazione o parte più veloce in tutto l’album). Le chitarre tessono trame asfissianti e dissonanti, in un contesto dove il concetto di melodia assume un significato tutto particolare: riff di una lentezza e pesantezza inaudite si trascinano saltuariamente intervallati da stacchi acustici e da arpeggi che solo parzialmente stemperano la tensione e la drammaticità delle canzoni, mentre la batteria tiene il “ritmo” (se così si può chiamare) col suo incedere lento, cadenzato, quasi “rituale”. Il cantato è solitamente costituito da un growl profondissimo, cavernoso, spettrale, quasi inumano, ma non è il solo stile vocale utilizzato, presenti anche parti “parlate” (sempre con una voce molto cavernosa) e parti sussurrate. Il quadro descritto fino ad ora non dovrebbe lasciare spazio a dubbi: la musica dei Mournful Congregation è assolutamente depressiva e funerea, e le emozioni che si prefigge di comunicare (riuscendo nell’intento) non sono altre se non agonia, sconforto, solitudine, malinconia, vuoto.

L’album è composto da quattro lunghissime tracce, e l’intero cd dura un’ora. Difficile individuare fra queste quattro una canzone più bella delle altre, sono tutte delle piccole perle, ognuna con una propria personalità, tuttavia uniformi e compatte nello stile.
La prima, “Mother Water, The Great Sea Wept, lascia immediatamente presagire all’ascoltatore cosa lo aspetta: si parte subito con un riff dissonante, disarmonico, rotto da un ruggito profondissimo, che segna l’inizio di una perversa e funerea melodia che si protrarrà fino a metà canzone. Questa prima composizione, infatti, si può dividere in due parti: una prima che prosegue su queste direttive e una seconda introdotta da riff puliti che suonano quasi come una campana a morte. Da qui si prosegue con una melodia più malinconica e riflessiva, che costituisce la seconda parte, quasi interamente strumentale.
As I Drown in Loveless Rain” segue le stesse coordinate della prima metà della prima traccia e quindi l’incedere lentissimo e la voce in growl (ma anche parti “parlate”) e stavolta nessuna concessione ad arpeggi che ne spezzino l’ossessività: l’intera canzone è un mattone pesantissimo che non lascia spazio a nessun attimo di respiro.
La successiva “When The Weeping Dawn Beheld Its Mortal Thirst” è la più particolare delle quattro canzoni e probabilmente è la più malinconica. Nessuna chitarra distorta, nessun growl, ma solo suoni puliti e arpeggi, mentre le parti vocali sono o parlate o sussurrate.
L’ultima traccia, The Monad of Creation, è una lunghissima composizione di 20 minuti, che racchiude in sé un po’ tutte le idee e gli spunti già apprezzati nelle precedenti canzoni. Un pezzo opprimente e asfissiante, la cui pesantezza è saltuariamente inframezzata da stacchi acustici e parti vocali sussurrate che vanno ad alternarsi e unirsi al growl. La presenza di alcune parti accompagnate da un organo non fa che aggiungere drammaticità all’atmosfera.

Siamo così giunti alla fine di questo oscuro capolavoro: The Monad of Creation è un album estremo, difficile da digerire, che risulterebbe oltremodo pesante per chi non ama certe sonorità, ma una gemma imperdibile per chi invece fosse appassionato di questo genere. I Mournful Congregation sono una delle realtà più importanti del panorma doom estremo e non ed un gruppo capace di mantenere una tale continuità qualitativa lungo tutta la sua carriera merita assolutamente di essere supportato.

Giuseppe Abazia

Tracklist:
01. Mother Water, The Great Sea Wept
02. As I Drown In Loveless Rain
03. When The Weeping Dawn Beheld Its Mortal Thirst
04. The Monad Of Creation

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