Recensione: The Murderous Inception [EP]

Di Vittorio Sabelli - 10 Febbraio 2014 - 21:30
The Murderous Inception [EP]
Band: Gaped
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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75

 

Cosa avranno mai a che fare i Cannibal Corpse con Newcastle? Apparentemente tanto, se fossimo nei primi anni ’90 e se si trattasse della città inglese e non della sua ‘copia’ nel Galles Del Sud, poco distante da Sidney, in Australia.

E si, perché Ryan Huthnance, polistrumentista e (unico) socio di maggioranza della band Gaped si prodiga in un EP che mette in mostra non solo le sue abilità in di compositore, ma anche quelle di esecutore, in particolare con la sua cavernosa voce, che rimanda alla frase iniziale, e alle gesta del pluri-acclamato Chris Barnes.

E la proposta per questo debutto con la Memento Mori è degna di nota a partire dal suo art-work, opera della Mottla Brutal Art. I sei brani che compongono “The Murderous Inception” sono un attentato alla sicurezza personale, perché dal primo all’ultimo secondo ci troveremo a che fare con riff, blast, growl e soli di chitarra, che non risultano avere punti deboli, se non quello di essere espressione di uno stile fin troppo inflazionato nell’ultima decade.

Ma Huthnance è uno tosto e quel che riesce a tirar fuori mostra uno stile maturo e accattivante, complice l’ottima registrazione e soprattutto il lato vocale, che denota una spiccata predilezione per gli inferi, riuscendo ad essere tanto groovoso e poco scontato. Perché riproporre una cover in un debut-EP ufficiale di un capo saldo come Striped, Raped and Strangled die Cannibal Corpse dal disco The Bleeding, datato 1994, in maniera comunque personale, denota sicurezza nei propri mezzi. E tutto scorre come un fiume in piena, dalla sensuale voce iniziale dell’opener “Let the Cutting Begin” che introduce il primo riffing fino ai cambi di tempo assassini, che caratterizzano l’andamento generale del disco.

Le parti di batteria sono drittissime ma killer, soprattutto in “Skin Suit” e “Succumb”, così come lo sono i soli di chitarra, davvero pregevoli, sia su “Whites of Your Eyes” che in “Realm of Impurity”, incentrato sulla melodia, che ben si staglia con il sapore affilato del brano. Ma quel che cattura l’attenzione per tutti i suoi 23 minuti è la voce di Huthnance, che rende degna giustizia ai testi scritti da Shane Watts, caratterizzando quella che è la vera arma in più della band.

Piacevolissima scoperta che gli amanti del genere non devono assolutamente farsi scappare, soprattutto per chi è legato al death metal d’inizi anni ’90 che non disdegna infiltrazioni e contaminazioni moderne. 

Vittorio “versus” Sabelli
 

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