Recensione: The Music That Died Alone

Di Onirica - 14 Ottobre 2003 - 0:00
The Music That Died Alone
Band: The Tangent
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2003
Nazione:
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85

Cinquanta minuti di musica moltiplicati per cinquant’anni di storia della musica progressiva vissuta a cavallo di Svezia ed Inghilterra, questo è quanto il progetto The Tangent è riuscito a produrre avvalendosi della presenza di nomi illustri come Roine Stolt dei Flower Kings (accompagnato da bassista e batterista dello stesso gruppo), David Jackson autore dei disarmanti fiati diventati poi storici nei Van Der Graaf Generator e Andy Tillison dei Parallel Or 90 Degrees. Insomma sembra essere proprio il periodo dei tanto sottovalutati Flower Kings, protagonisti di un 2003 all’insegna del rock dei bei tempi, quello infarcito di hammond organ e flauti nonchè ricco di eccezionali stralci jazz; fra tutti spicca ovviamente il nome di Roine Stolt, che in questo contesto è riuscito persino ad impegnarsi nelle lead vocals, ma non meno importante è il sostegno di una sezione ritmica geniale senza la quale gran parte di questo successo sarebbe stato colpito solo di striscio. Certo la stessa cosa non si può dire del tastierista Tomas Bodin che nello stesso periodo si è occupato di un album solista davvero insoddisfacente, forse abbandonato dai consueti compagni di viaggio, questa volta impegnati nella stesura dei lavori che hanno in un certo senso ristabilito le sorti di questa annata progressiva. Il disco di cui vi sto parlando si divide in quattro capitoli principali indicati qui sotto in grassetto, l’ultimo dei quali porta il nome dell’album: la musica si scioglie in bocca perchè i paragrafi che formano ogni singolo episodio si confondono fra di loro costituendo uno la continuazione dell’altro, si tratta appunto di quattro sonorità principali che vengono rese più complesse nello scorrere non interrotto delle tracce. Ottima la produzione sonora così come eccellente si dimostra l’esecuzione dei brani, del resto cosa potevamo aspettarci da mani così piene di esperienza? Raramente accade che un gruppo costituisca le sue stesse ispirazioni, la recensione non ha bisogno di termini di paragone.

Il contenuto lirico verrà spiegato dallo stesso Andy Tillison nell’intervista organizzata per il nostro sito, quindi se il mio dovere è quello di parlare della musica, allora con sincerità e senza nulla togliere agli altri musicisti partirò con la perla chiamata Jonas Reingold. La sua scelta dei suoni e il suo modo di suonare onnipresente ma mai invadente rende questa release ancora più entusiasmante, eccezionale la tecnica ma niente in confronto allo stile e al buon gusto che contraddistingue questo artista. Il suo basso diventa una solida e suggestiva base per la chitarra e la tastiera delle menti che hanno dato vita a questo progetto, ma non mancano anche sprazzi di autentica follia esoterica in cui il sassofono di David Jackson viene lasciato a godere della compagnia della sezione ritmica regalando brividi che valgono il prezzo del disco. Ho parlato di due menti ideatrici, in realtà la musica incisa su questo album è stata tutta costruita sulle tastiere base di Andy che successivamente ha passato il testimone alle corde di Roine, con musicisti di questo livello il gioco è fatto! Il risultato totale ha subito cambiamenti di programma fino all’ultimo giorno di registrazione in modo tale da mettere sul mercato il lavoro più naturale e spontaneo che potesse venire in mente, ricco di dettagli immediati e stravaganti che lascerò scoprire a chi di voi ama veramente questo genere di musica. Buon ascolto.   

Andrea’Onirica’Perdichizzi

TrackList:

In Darkest Dreams
01. Prelude – Time For You
02. Night Terrors
03. The Midnight Watershed
04. In Dark Dreams
05. The Half-Light Watershed
06. On Returning
07. A Sax In The Dark
08. Night Terrors Reprise

The Canterbury Sequence
09. Cantermemorabilia
10. Chaos A t the Greasy Spoon
11. Captain Manning’s Mandolin
 
12. Up-Hill from Here

The Music That Die Alone
13. A Serenade
14. Playing On…
15. Pre-History
16. Reprise

 

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