Recensione: The New Reality

Di Roberto Gelmi - 6 Dicembre 2017 - 12:00
The New Reality
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2017
Nazione:
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70

Arriva a compimento il progetto del discusso frontman Geoff Tate, ormai quasi sessantenne. The New Reality è il terzo e ultimo tassello della trilogia concettuale (iniziata nel 2015 con The Key e proseguita con Resurrection nel 2016) incentrata su temi etici e di natura politico-sociali. L’opera, va ribadito, nasce dalla mente di Tate, che registra i tre album tutti nello stesso periodo e in totale coinvolge 16 musicisti, sotto il monker Operation: Mindcrime. Dunque, non una band a tutti gli effetti, ma una line-up d’alto livello, di cui si è avvalso il cantante per dar vita al suo trittico. Se i primi due capitoli non hanno per niente convinto e non sono all’altezza dei Queensrÿche post-Tate, va subito detto che The New Reality regala invece un’ora di musica discreta, che lascia sperare in un futuro non così cupo nella carriera di Tate.

L’artwork ticorda Matrix e appena inserito il CD nel lettore, ci accolgono sonorità latamente sci-fi. L’opener inizia dopo tre minuti di intro infinito, i suoni sono spigolosi quanto basta, la voce di Tate inconfondibile e magnetica. Il sound si presenta saturo e la produzione convince, peccato per l’uso eccessivo di effetti in post-produzione. “Wake Me Up” è un bel pezzo, si ascolta e riascolta con piacere: Scott Moughton è ispirato in fase solistica (splendido il suo Wah-Wah), mentre Brian Tichy dialoga alla pefezione con John Moyer (ex-Adreline Mob). Altro lento avvio per la seguente “It Was Always You”, con fill di batteria interessanti e inserti di pianoforte opera di Randy Gane. Si conferma l’impressione inziale, il platter è coeso e convincente, anche se non punta sull’acceleratore. I sette minuti di “The Fear” non spaventano, anzi permettono a Tate di mostrare il suo istrionismo a 360 gradi, lungo un tracciato sonoro spesso sornione e ovattato, che richiama certe sonorità anni Ottanta nell’uso dei synth. Prima della title-track, “Under Control” è una traccia col giusto groove e sonorità quasi stoner, oltre che un bel ritornello melodico; se aggiungiamo un assolo di chitarra che è una goduria, è detto tutto. Ed eccoci arrivati a metà album, con “The New Reality”, traccia più lunga in scaletta e forse il punto debole del full-length. S’inizia, infatti, con arrangiamenti lisergici e la voce effettata di Tate e la composizione non decolla mai: inspiegabile la presenza di un simile monolite anodino al giro di boia in scaletta. Più movimentata e magnetica, per fortuna, la successiva “My Eyes”; convince in parte anche “A Guitar in Church?”, strumentale metafisica e proggish. L’ultimo quarto d’ora del platter si conferma su livelli discreti. “All for What?” presenta una buona parte finale, tirata ed epica, peccato per i primi minuti riservati all’ennesimo lungo intro, francamente pleonastico. I sintetizzatori fanno da padrone in “The Wave”, mentre in “The Same Old Story”, canzone conclusiva dopo il breve intro “Tidal Change”, fa piacere ascoltare note smagate di sax, degno commiato a un album chiaroscurale ma con alcuni momenti convincenti.

In definitiva il miglior capitolo del trittico in casa Tate, perfuso di atmosfere ipnotiche e visionarie. The New Reality merita un ascolto e farà felici i fan di Tate, che negli ultimi anni hanno faticato a non storcere il naso per quanto proposto dal frontman leggendario.

 

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

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