Recensione: The Next

Di Daniele D'Adamo - 8 Ottobre 2013 - 22:02
The Next
Band: Serocs
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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55

 

Nati nel 2009 come one-man band del chitarrista messicano Antonio Freyre, i Serocs giungono al secondo lavoro in studio, “The Next”, dopo solo un anno dal debut-album “Oneirology”. L’essere diventati un ensemble a tutti gli effetti ha evidentemente sortito i dovuti effetti, non per altro perché i compagni di avventura di Freyre sono dei musicisti di tutto rispetto: Timo Häkkinen (Sotajumala) alla batteria, Mike Poggione (Monstrosity) al basso e Jason Hohenstein (ex-Lecherous Nocturne) alla voce sono garanzia di qualità. Se non altro, come minimo, per la dose di tecnica strumentale che ciascuno di essi porta dietro con sé.  

Tecnica strumentale che delinea senza ombra di dubbi il genere suonato dai Nostri, assestati cioè sul più classico dei technical death metal alla maniera di Cryptopsy, Wormed, Decapitated e Gorguts. Proprio per tale caratteristica peculiare, ossia l’amore per tutto quanto sia di complicata composizione ed esecuzione, non è così semplice intuire al primo colpo se i Serocs siano solo e soltanto una scopiazzatura dei gruppi anzidetti, oppure brillino di luce propria. Spesso la verità è compresa nel mezzo degli estremi, ma così non pare essere nel caso in ispecie. Difficile, del resto, appioppare un giudizio equilibrato quando, in più, ci si trova davanti a qualcuno che fa dell’ortodossia il proprio pane quotidiano; soprattutto in un ambito così ristretto – pensando al numero di variabili in gioco – come quello del death tecnico, appunto.

A fugare le nebbie di questa indecisione endemica ci pensa tuttavia l’opener/title-track “The Next”, che si fa strada con decisione nella mente per raffigurare il tanto classico quanto temuto dejà-vu. Paradossalmente, il fatto di possedere grandi competenze tecniche ha fatto fare flop più di una volta, in passato, a band teoricamente dotate di grandi potenzialità: il rischio è quello di incartarsi nella marea di note prodotte da se stessi seppure con grande abilità, finendo per non aggiungere nulla di nuovo – dal punto di vista artistico – a quanto già abbondantemente sviscerato da altri una dozzina di anni fa, magari. E, purtroppo, i Serocs paiono proprio scivolare in questa trappola mortale. La percezione che in “The Next” non ci sia nulla di nuovo, sotto questo aspetto, cresce via via che si srotolano le canzoni sotto i piedi. Tanto che, passando e ripassando la mezz’oretta di durata del platter fra i timpani, riesce sempre più arduo mettere a fuoco una personalità che, a questo punto si può affermare con certezza, non c’è. Forse solo gli appassionati più adusi con il genere potranno trovare qualche differenza fra questo sound e quello di tanti altri act che si barcamenano in una tipologia stilistica così precisa. Nella sostanza, però, il disco può passare quasi invisibilmente fra un neurone e l’altro del più attento degli osservatori. Nonostante il suo alto peso specifico come numero di accordi al minuto.  

In più, o per meglio dire in meno, non aiuta certamente un songwriting parecchio complicato, sì, ma piuttosto piatto in termini di riconoscibilità. La montagna di riff scaturiti dalle due formidabili chitarre, incredibilmente prolifiche, è dura da scalare per chiunque, e alla fine si corre il pericolo di esser travolti dalle singole song. Pericolosamente simili fra loro. O, perlomeno, prive di quel mordente in grado di farle emergere dall’anonimato per dotarle di vita propria.

Insomma, “The Next” porta con sé il germe della noia, figlio dell’incapacità dei Serocs di dare un’impronta vivida e personale a un sound monumentale e scolasticamente irreprensibile. Caratteristiche, queste, che da sole non bastano per rendere un’opera d’arte se non memorabile almeno degna di annotazione.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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