Recensione: The Piper At The Gates Of Doom

Di Angelo D'Acunto - 9 Gennaio 2011 - 0:00
The Piper At The Gates Of Doom
Band: Doomshine
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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80

Spuntati letteralmente dal nulla nel 2004 con la pubblicazione di Thy Kingdoom Come e rimasti praticamente nell’anonimato fino ad oggi, i Doomshine del doom più classico non hanno ereditato solo le partiture, ma anche una lentezza compositiva che li ha portati (finalmente), pochi mesi fa, alla release del tanto atteso (per i pochi appassionati che li seguono) secondo studio album, intitolato The Piper At The Gates Of Doom.

Resta comunque il fatto che, nonostante un monicker alquanto banale, il quartetto di Ludwigsburg offre una proposta musicale che, da una parte, rimane sì fedele alla migliore tradizione del doom, ma garantisce anche un songwriting abbastanza maturo e personale che, per un gruppo così giovane, non può che rappresentare una marcia in più. Dal canto suo la band, sicuramente consapevole delle proprie doti, sembra essere disinteressata ad una qualunque evoluzione, mantenendo la propria rotta fissa verso un sound dove la lentezza soffocante delle partiture fa quasi da contraltare a melodie sognanti e che, soprattutto nei refrain, valgono come principale punto di forza delle composizioni. Melodie che, in ogni caso, nella loro bellezza riescono ad essere ossessive quel tanto che basta per appesantire non poco l’ascolto.
The Piper At The Gates Of Doom, quindi, nonostante il titolo di ispirazione pinkfloydiana, rimane fedelissimo a ciò che era stato proposto in occasione del debut album. Cambia invece la qualità dei brani, in questo caso contraddistinti da un songwriting decisamente più maturo e curato, quasi maniacalmente, in ogni suo minimo dettaglio. Ad avere la meglio è, ancora una volta, un gusto melodico sopraffino capace di mantenere ben equilibrate atmosfere ed emozioni: le prime gelide ed oppressive; le seconde suadenti e, allo stesso tempo, oscure e malinconiche, che scaturiscono soprattutto dalle voce dell’ottimo Tim Holz. Le ritmiche seguono, in buona parte dei casi, uno schema ben preciso fatto di battute lente e, in qualche modo, semplici, che lasciano spazio di tanto in tanto ad accelerazioni più grintose e dirompenti, dove a farsi valere è soprattutto l’ottimo lavoro in fase solistica del chitarrista Sven Podgurski. La tracklist, qualitativamente piuttosto omogenea, offre pezzi del calibro della maestosa opener Sanctuary Demon con il suo incedere epico, o la più aggressive Rivers Of January e The Crow Pilot, che, come già detto, sono forse un po’ pesanti da assimilare nell’immediato, ma che comunque convincono in pieno per maturità e freschezza, valorizzati come si deve anche da una prova esecutiva priva di sbavature.

Anche se un po’ difficile da assimilare, se non dopo una buona dose di ascolti, The Piper At The Gates Of Doom brilla soprattutto per un songwriting maturo e ispirato, nonostante non inventi praticamente nulla di nuovo. I Doomshine dimostrano di aver bene assimilato le lezioni impartite dai maestri, riuscendo comunque ad esprimersi anche con una certa dose di personalità che, sicuramente, in futuro riuscirà a portarli molto lontano.

Angelo ‘KK’ D’Acunto

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Tracklist:

01 Sanctuary Demon
02 Actors Of The Storm
03 Hark! The Absurd Angels Fall
04 Rivers Of January
05 Doomshine Serenade
06 The Crow Pilot
07 Cold Cypher Ceven
08 Vanished
09 Waltzhalla
10 Godhunter

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Band: Doomshine
Genere:
Anno: 2004
78