Recensione: The Prodigal Child

Di Stefano Usardi - 21 Luglio 2016 - 22:07
The Prodigal Child
Band: Deficiency
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2013
Nazione:
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70

Secondo album per i qui presenti Deficiency, giovane combo francese formatosi nel 2008 e dedito ad un thrash metal molto melodico, tanto da sconfinare ogni tanto in territori più consoni all’heavy più aggressivo e frenetico. Ma procediamo con ordine.

L’inizio è rombante: la title-track parte con una sfuriata rovinosa da parte di chitarre e batteria, seguite da un riff adrenalinico che sostiene l’entrata in scena della voce di Laurent, il cui repertorio spazia da un approccio molto melodico ad uno screaming furibondo. La canzone procede su tempi medi, alternando riff stoppati ad improvvise accelerazioni sempre sorrette dall’ottimo lavoro dietro le pelli di Anthony, salvo poi concedersi qualche rallentamento dalla metà in poi, in cui si incastra l’assolo che conclude il brano. Un inizio furioso caratterizza anche la successiva “Unfinshed”, che poi si districa su un terreno più tendente al death melodico, con Anthony che sperimenta un cantato sguaiato, a tratti quasi punkeggiante, salvo poi tornare all’ovile della melodia durante il ritornello. Anche qui la traccia, dopo il furibondo inizio, si calma un po’ e si concede un rallentamento verso la metà, in corrispondenza con la lunga parte strumentale che prepara il terreno a un assolo di chitarra che profuma di Bay Area. “A Prospect of Traveling Beyond” si presenta con un arpeggio cupo e minaccioso, a sua volta caricato da una batteria imponente che esplode con l’arrivo di un riff nervoso molto slayeriano: purtroppo la canzone dirada un po’ questo clima opprimente e maligno in favore di una traccia dallo sviluppo più canonico, seppur a tratti molto violento, e pur essendo molto interessante possiede un andamento un po’ troppo altalenante per colpire fino in fondo.

È ora la volta di “Those Who Behold”, primo esempio di quello sconfinamento di cui parlavo in apertura: a parte le brusche accelerazioni e l’approccio vocale vicino a certo nu metal di Laurent, il brano sconfina spesso (soprattutto durante il ritornello) nell’heavy classico, con ritmiche quadrate ma non così tanto da diventare asfittiche e, di conseguenza, capaci di donare una maggior libertà rispetto alla classica sfuriata di doppia cassa. Niente male anche la parte strumentale dopo l’assolo, che apre le quinte al finale sfumato e conduce l’ascoltatore alla successiva “The Introspection of the Omnipotent”, introdotta dalle malinconiche note di un pianoforte. La sorpresa dura esattamente 49 secondi, il tempo di far entrare in scena la coppia di chitarre e, successivamente, il resto del gruppo, che parte in quarta con una traccia mutevole, votata a rapidi cambi d’umore, melodie semplici e un cantato accostabile spesso al metal-core da classifica (lo so, è una gran brutta espressione, ma aiuta a capirsi): c’è anche spazio per un breve fraseggio di chitarra acustica prima di tornare ai riff stoppati e all’assolo che chiude un brano un po’ confusionario ed indeciso, in bilico tra idee buone e altre meno felici, consegnandomi il primo “meh” dell’album.

“The Flaw” torna ai ritmi arrembanti delle prime tracce, salvo poi rallentare bruscamente prima della metà e trasformarsi in un brano più articolato, capace di avvolgersi su se stesso e cambiar pelle nel giro di un riff, prima di tornare alle schitarrate furiose in tempo per il finale. Le urla di Laurent introducono “Stronger Than You”, brano che saltella tra un andamento furibondo durante la strofa e un ritornello decisamente più melodico e meno graffiante. Anche qui il pezzo cambia di botto con l’entrata in scena del piano e dell’interludio strumentale che al minuto 1:45 si appropria della scena, liberando un’anima più ariosa e romantica da parte dei nostri quattro francesi; il momento passa e in poco più di due minuti si torna a picchiare duro, abbandonando ogni traccia della melodia o della gentilezza sentite prima. Niente male. “A Way Out of Nowhere” è una strumentale dall’andamento circolare che consente ai nostri di sbizzarrirsi un po’ e mostrare di cosa sono capaci: il pezzo si sviluppa su ritmi variegati ma non troppo incalzanti, scorre bene e non stanca mai durante i suoi quasi sette minuti e mezzo. In aggiunta, cosa a mio avviso fondamentale per questo tipo di brano, non si avverte la spiacevole sensazione di trovarsi di fronte ad una canzone normale a cui sia stata tolta la traccia vocale in un secondo momento: gli strumenti riescono a sostenersi tra loro e creano un unicum autosufficiente, senza che si senta la necessità della presenza del cantante. Ben fatto.

“The Experiment” parte lenta, quasi indolente, salvo poi caricarsi a palla ed esplodere in una traccia che alterna momenti più atmosferici ad impavide accelerazioni chitarristiche, a loro volta sostenute da una sezione ritmica a tratti furente. Dopo un breve interludio più compresso si torna a ritmi rabbiosi ma melodici, che accompagneranno l’ascoltatore attraverso il crescendo strumentale fino al termine del brano e spalancano le porte della conclusiva “The Curse of Hu’s Hands”, la più variegata tra le tracce di questo “The Prodigal Child”. Anche qui si assiste a qualche sconfinamento in territori più marcatamente heavy che non di thrash propriamente detto, per un brano decisamente interessante in cui ai soliti riff sperimentati in precedenza si aggiungono aperture chitarristiche più dilatate, improvvisi cambi di tempo dal sapore quasi jazzato e stacchi melodici solo apparentemente fuori contesto, la cui chiusura è affidata a un tappeto sonoro più disteso e contemplativo. Anche qui niente da dire: una signora canzone, punto.

In conclusione, questo “The Prodigal Child” è un buon prodotto, energico e melodico, che pur non essendo un capolavoro imprescindibile per il genere si lascia ascoltare dall’inizio alla fine senza stancare, piazzando anche qualche ottima zampata: mi rimane qualche riserva sul cantato un po’ troppo altalenante, ma qui si entra nel mondo dei gusti personali, e uscire da lì è sempre un’impresa.
Dategli un ascolto, se lo merita tutto.

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