Recensione: The Rainmaker

Di Nicola Furlan - 5 Gennaio 2007 - 0:00
The Rainmaker
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2001
Nazione:
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85

Dopo il grande Retropolis (1996), seguito immediatamente da un capolavoro come Stardust We Are (1997), i The Flower Kings con The Rainmaker riprendono quota tanto da poter riconquistare tutte le vette che sembravano ormai insperate fino ad un anno prima. L’uscita del mediocre Space Revolver (2000) violentò il significato del detto “non c’è due senza tre” che fin a quel momento sembrava pressocchè scontato.
La band del genio Roine Stolt delinea con questa uscita un prodotto artistico colorato da toni più caldi: si ritrovano rinnovate le giocose ritmiche rockeggianti in forte uso fin dai primi lavori, ma anche quelle sognanti di estese atmosfere anni ’70; i puntuali tocchi armonici disegnano richiami a momenti davvero articolati, ma finemente intarsiati nel loro sviluppo compositivo. Nuovamente un passo avanti quindi.

The Rainmaker è un disco effettivamente vario che si dipana nel suo svolgersi poggiando su una tematica melodica ridondante che lo rende carico d’identità. Il tutto è legato da esecuzioni strumentali che già prese singolarmente stupiscono per idee, variabilità esecutiva e ricercatezza e che, nel complesso, sviluppano una sinergia capace di scaldare profondamente le atmosfere che circondano l’ascoltatore.

Il songwriting fa ampio uso di tastiere, organo, arpeggi e riff intrisi di emozionalità sempre disponibile a raggiungere chi ascolta. Ne viene in aiuto una miriade di idee, che riescono nell’intento di accarezzare ed anche schiaffeggiare molti aspetti musicali, senza lasciare in disparte un cantato unico nelle sue modulate e dinamiche timbriche.

Una opener che lascia a bocca aperta per la varietà delle soluzioni artistiche adottate apre l’album. Delicatezza di tocchi alternata a momenti più sinfonici e riconducibili alla scuola new prog che di tante persone ha stigmatizzato la memoria le fanno da padroni. Da gustarsi appieno gli assoli e le aperture acustiche della ballad World Without a Heart per poi salire le note del piacere fino al fantastico refrain ed ai tocchi tintinnanti del piano.
Menzione obbligatoria per una hit come Road to Sanctuary che si insinua in labirinti musicali dai corridoi plasmati di profondità delle dense atmosfere sinfoniche, a strutture soffusamente folkeggianti, fino a perdersi in liquide pozze di acidi composti di puro prog rock. Un attimo di teatralità con la title track per poi essere travolti dalle sinuose varietà stilistiche di City of Angels o dallo sbalorditivo stacco fusion di Elaine. Non mancherete di godere di inviti più hard rock come con Sword of God, canzone interessante e dinamica disegnata attorno a momenti più “old style” intramezzati dai tecnici tocchi più metal oriented. Organo, produzione e comparti ritmici 70’s caratterizzano il songwriting della closer, che ha tanto di classico quanto di moderno a sunto dell’intero lavoro appena ascoltato.

Un album da godere tutto d’un fiato, profondo ed interessante, forte di soluzioni compositive ricercate, per certi versi pure “storiche” per espressività dipanata, ma addizionate ad una produzione moderna che ne amplifica e ne linearizza i tratti fondamentali. Un perfetto equilibrio tra classico e moderno per un risultato finale che si configura a piccolo manifesto ispiratore del genere.

– nik76 –
 
Tracklist:
01 Last Minute on Heart (11’ 40”)
02 World Without a Heart (4’ 29”)
03 Road to Sanctuary (13’ 50”)
04 The Rainmaker (6’ 02”)
05 City of Angels (12’ 04”)
06 Elaine (4’ 55”)
07 Thru The Walls (4’ 31”)
08 Sword of God (6’ 00”)
09 Blessing of a Smile (3’ 12”)
10 Red Alert (1’ 10”)
11 Serious Dreamers (8’ 59”)

Line up:
Jaime Salazar: Any brand drums, Yell, Translating & Liptwisting
Jonas Reingold: Fender bass, Fretless bass, Istambul lectures
Hasse Fröberg: Vocals, Vocoder
Roine Stolt: Vocals, Guitars all sorts, Keyboards, Percussives Handy
Tomas Bodin: Keys, Wangnerism & Theatrical first aid
Hasse Bruniusson: Percussive sculptures, Chains, but less yelling than usual

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