Recensione: The Rosewater Park Legend

Di Daniele D'Adamo - 15 Marzo 2018 - 16:44
The Rosewater Park Legend
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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85

Altro progetto per il prolifico tastierista André Aaslie (Funeral, Images At Twilight, Abyssic). Si tratta ancora una volta di black metal, sottoforma dei Profane Burial, alle prese con il loro debut-album “The Rosewater Park Legend”.

Black metal sinfonico, anzi no. Cinematic black metal, invece, Cioè black metal fortemente movimentato. Come dire, ricchissimo di formidabili, potentissime orchestrazioni. Già con gli Images At Twilight si poteva ascoltare qualcosa di simile ma è con “The Rosewater Park Legend” che il cinematic black metal assume una forma definitiva, compiuta.

Il connubio black metal / musica classica è già stato utilizzato altrove, ma non in maniera intrusiva e ficcante come nei Profane Burial. Musica classica non solo come arricchimento e abbellimento di un sound già definito in sé, ma vera e propria struttura fondativa, viva, pulsante.

Le magnifiche orchestrazioni di Aaslie e Kjetil Ytterhus proiettano la musica su un livello superiore, nel quale si aprono inimmaginabili visioni oniriche. Incommensurabili colonne montuose perennemente innevate, misteriose e buie foreste, immensi altopiani perennemente sferzati da bufere di neve. Già l’incipit di ‘The Tower Bell’, da solo, scandito soltanto da un coro maschile, è foriero di reazioni corporee mistiche. Poi, si scatena la furia degli elementi, pilotata dal plam muting di un riffing chitarristico tentacolare.

L’immersione in “The Rosewater Park Legend”, se totale, regala stati di allucinazione del tipo della Sindrome di Stendhal, al contrario, però. Cioè, visioni di opere d’arte di straordinaria bellezza, dilatate in spazi sconfinati. Così, per esempio, possono essere descritte le sette song che compongono il platter.

Tuttavia, come già accennato, occorre rammentare che i Profane Burial non sono soltanto fabbrica di musica classica. Ben presente la chitarra, che mitraglia riff duri, compressi, poderosi. Così come la sezione ritmica, spesso ubicata oltre i limiti della follia dei blast beats. Con un vocalist, Ronny Thorsen, che, nonostante l’immensità della musica, riesce a metter su delle linee vocali appropriate, basate su uno stentoreo growling, molto rabbioso e aggressivo, nonché un aspro screaming, sì da farsi largo nella selva intricata di note elaborate dalla formazione norvegese nel suo insieme. Come dimostra la suite finale ‘The Tale the Witches Wrote’, mirabolante pellegrinaggio entro confini dettati da mirabolanti armonie, scariche furibonde di blast beats, ruggenti segmenti ove si intravede la purezza del black metal, infinite cavalcate su esseri mitici a osservare paesaggi da favola.

Malgrado quest’impostazione votata ai cinematismi di orchestrazioni penetranti e avvolgenti, il black metal emerge sempre dal tappeto melodico che esse tessono e inseriscono nel sound come peculiarità primigenia. La fusione delle onde distorte della chitarra al suono degli archi, per esempio, forma un impatto sonoro tremendo, un cozzo gigantesco con le molecole d’aria; costrette a ordinarsi in transienti di pressione tali da abbattere qualsiasi cosa incontri.

Nell’economia del black metal, questa interpretazione dei Profane Burial porta nuova linfa al genere stesso, poiché, come si può facilmente immaginare, le soluzioni derivanti dall’utilizzo della musica classica sono pressoché infinite.

È la nascita definitiva di un nuovo genere, il cinematic black metal, finalmente ben definito in tutte le sue caratteristiche?

Sì. 

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

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