Recensione: The side show

Di Beppe Diana - 19 Maggio 2002 - 0:00
The side show
Band: Griffin
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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70

Giuro che quando  il buon Roby mi ha detto di essere in possesso del nuovo album dei Griffin, mi è preso quasi  un colpo, si perché dopo la ristampa inaspettata del capolavoro “Protectors of the liar”, aspettavo con ansia la reunion della power band texana artefice negli anni ottanta di una manciata di album niente male. Ed invece dopo aver letto l’info sheet della Season of mist ed aver ascoltato più volte l’album in questione, mi è caduto il mondo addosso.

Infatti i Griffin autori di questo “The side show”,  non sono quelli che mi aspettavo io, ma bensì una band omonima che, nata qualche anno addietro come side project che comprende membri di Bloodthorn, Atrox e Dark Ages, arriva dalla Norvegia e non dagli States, e con l’album in questione riesce a varcare la soglia del secondo platter in poco più di tre anni di attività musicale. Innanzi tutto è bene precisare che la provenienza geografica del quintetto,  non deve servirvi da specchietto per le allodole, si perché i nostri non sono l’ennesimo combo di black metal nordico, ma bensì una band di heavy metal fottutamente rozzo e spigoloso, che il più delle volte non perde di vista l’aspetto più prettamente melodico della proposta musicale.

A livello di songwraiting, i nostri se la cavano molto egregiamente, riuscendo a forgiare delle song che miscelano in parti eque,influenze che arrivano direttamente da band pionieristiche come i mai dimenticati Morgana Lefay o i vecchi Nevermore dell’album di debutto, influenze che sempre più di sovente vengono farcite e filtrate attraverso una dose massiccia di hard rock Almighty-style grazie anche all’apporto di un singer vocalmente vicino al Rithcy Warwick dei bei tempi.

Dunque  una band che a livello sonoro, non scende certo a compromessi,rendendosi artefice di partiture molto intricate e alquanto complesse,oscure e  dannatamente heavy, anche se  i momenti più pacati ed intimisti,  non mancano di certo. Una proposta musicale abbastanza personale che riesce in qualche modo a differenziare i Griffin dalla moltitudine di band clone come quelle imperanti negli ultimi anni, anche se ad un primo acchito queste dodici tracce sono abbastanza dure da digerire, e con i ripetuti ascolti,sembrano addirittura assomigliarsi tutte,lasciando nell’ascoltatore, salvo sporadici casi, quel retrogusto del già sentito. Comunque,tutto questo non deve servire di certo a sminuire l’egregio lavoro di questi baldi vichinghi, che fra ritmiche serrate e riffs spacca ossa, ci sparano in pieno volto tutta la loro rabbia repressa attraverso bordate metalliche del calibro della dinamica “Horrorific” e della più cadenzata “Death row league”. Il resto dell’album viaggia su discreti sentieri sonori, lasciando inalterata la buona impressone che i nostri danno di se lungo lo scorrere dei 45 minuti di cui si compone l’album.

Così dalla melodica ed accattivante “Shadows of deception”,sicuramente il brano più orecchiabile ed immediato del lotto, si passa attraverso momenti più cupi e poetici come nel caso di “Distant shore” che,grazie all’atmosfera mantata di tristezza e liricità,rappresenta di sicuro l’apice qualitativo dell’intero album. Un album molto vario dunque, forse pure troppo per i miei gusti, che se non altro ha il merito di presentarci una band conscia delle proprie potenzialità tecnico/espressive che potrebbe se non altro piacere a chi stà cercando qualcosa di veramente diverso. Da ascoltare con cautela.

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