Recensione: The Sixth Dimension

Di Mauro Gelsomini - 31 Ottobre 2003 - 0:00
The Sixth Dimension
Band: Domain
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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80

Tornano a due anni di distanza dalla reunion i tedeschi Domain, e si presentano con il sesto studio album (il titolo indica proprio la cronologia discografica, non pensate a concept di alcun genere) della loro carriera, interrotta negli anni ’90 per un calo d’interesse da parte degli stessi membri nei riguardi del metal melodico.
Oggi i nostri risultano rinvigoriti dalla nuova linfa compositiva arrivata con l’ingresso di Stefan Köllner (ex Symphorce) alla batteria e Sandro Lo Giucide (ex Circle Of Pain) al basso: i due hanno ricostruito la sezione ritmica sulla base dei propri trascorsi heavy/power, tanto da rendere aggressive e dinamiche come non mai le composizioni della band.
Anche se attivi ormai da più di quindici anni, probabilmente la personalità per sfornare l’album della svolta è arrivata solo in tempi recenti, con il precedente “The Artifact” e, soprattutto, con un’ingente attività live di supporto al progetto di Glenn Hughes e Joe Lynn Turner.
E’ proprio dal discorso interrotto lo scorso anno da “The Artifact” che si riprende, nel pieno rispetto del genere proposto, un melodic power metal con tantissimi spunti AOR e progressive: al di là dei granitici riff di chiaro stampo hard rock e agli up tempo cari al power metal teutonico, infatti, il disco è disseminato di arrangiamenti extra, che ne arricchiscono i contenuti altrimenti troppo legati alla tradizione.
L’anello di congiunzione tra i vari riferimenti citati può essere individuato nella voce del nuovo singer Carsten Schulz, impegnato anche con i Midnite Club e gli Evidence One, a suo agio nel muoversi tra l’hard rock melodico e il pomp/progressive metal.
Si parte con “World Gone Crazy”, ed è subito hit dal refrain anthemico in Savatage style. Il riff à la Saxon di “Your Favorite Curse” sarà ultra-sentito, ma la song è decisamente travolgente, perciò… chi se ne frega?
Non ho trattenuto il sorriso ascoltando dapprima il rhapsodyano chorus di “King Of Tears” (un uptempo pomposissimo che vuol essere un tributo ai primi Domain), poi l’intro quasi folk di violino nella successiva “One Perfect Moment”, power ballad di rito, in cui Schulz si fa apprezzare con una voce calda ed avvolgente, e per un’impostazione che molti suoi colleghi dovrebbero invidiargli.
Si prosegue con lo straclassico riff power di “Burning Red”, per la più tradizionale delle up-tempo, molto Royal Hunt negli arrangiamenti, soluzione che sarà bissata di qui a poco da “Last Exit Moon”, altra hit dal sapore tutto ottantiano, con tanto di tastieroni AOR in bella mostra.
Perde un po’ di lucidità il songwriting di “Warpath” e “Skylighter”, in debito d’ossigeno con le precedenti, mentre si ritorna a correre con il riffing ancora Saxon di “Young Heart’s Can Fly” e col doppio pedale della già citata “Last Exit Moon”.

Chiude il disco una versione tiratissima di “Rats In The Cellar” degli Aerosmith, che rende davvero lodevole il già ottimo lavoro della band di Axel Ritt. A corredo del platter, il video clip di “Charade”, incluso nel precedente album.

Tracklist:

  1. World Gone Crazy
  2. Your Favourite Curse
  3. King’s Tears
  4. One Perfect Moment
  5. Burning Red
  6. Warpath
  7. Skylighter
  8. Young Heart’s Can Fly
  9. Last Exit Moon
  10. Talk To The Wind
  11. Rats In The Cellar (Bonus Track) *
  12. Charade (Bonus Video Clip) *

* Disponibili solo nella versione limitata digipack

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