Recensione: The Source

Di Gianluca Fontanesi - 2 Maggio 2017 - 10:01
The Source
Band: Ayreon
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2017
Nazione:
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87

We’re on journey to forever
Dreams eternal, in a wondrous world without walls
We are Forever, wondering what the future holds

 

N.B. la presente recensione contiene spoiler circa il concept del nuovo doppio disco degli Ayreon. Consigliamo un’attenta lettura dopo aver sfogliato i testi del booklet e ascoltato più volte l’album.

 

The Source è l’ottavo, attesissimo album dell’oltre ventennale Ayreon, progetto ideato dal simpaticissimo Arjen Lucassen e portatore di qualità altissima oltre che di dischi di assoluto valore. Il progetto negli anni si è sempre distinto come un progressive rock/metal dalle determinate caratteristiche e prerogative, in grado di costruirsi col tempo una fanbase sempre più numerosa e sempre più meritata. Fanbase che non ha mancato di farsi sentire durante i preordini del disco intasando lo store della Mascot e lasciando sbalorditi un po’ tutti gli addetti ai lavori, esaurendo in pochi giorni gli earbook autografati e costringendo il buon Arjen a farne stampare ancora dalla nuova label! Via quindi dalla storica Inside Out, The Source finalmente arriva nei negozi, e ovviamente nelle nostre mani; opera rigorosamente doppia come da tradizione e con diverse frecce al proprio arco che, siamo certi, sbalordiranno anche i fan più esperti e di vecchia data. Come ben sapete, la caratteristica principale di Ayreon è quella di offrire concept album spaziali e di science ficton raccogliendo un po’ tutti i migliori interpreti progressive metal/aor della scena corrente, e anche The Source quindi offre un cast assolutamente stellare tra vecchie conoscenze e nuove entrate, che non scontenterà praticamente nessuno anche a livello interpretativo.

Dove ci eravamo lasciati? The Theory Of Everything fu un album strano e atipico per Arjen, nel quale si cimentò con quattro mini suite che furono accolte sì bene ma divisero critica e fan; anche il qui presente ha una suddivisione in quattro capitoli ma vi è un ritorno quasi prepotente alla forma canzone e a tracce ben definite che, oggettivamente parlando, sono sempre state il punto di forza del lungocrinito olandese assieme a ritornelli di facile presa e con poco spazio dedicato alle dilatazioni The Source concettualmente si colloca prima di tutti gli album precedenti e narra delle origini dei Forever, una razza di cui avrete sicuramente già sentito parlare se siete fan di Ayreon, collocandosi come prequel di 01011001.

 

PRIMA CRONACA: THE FRAME

Ci troviamo nel pianeta Alpha, galassia di Andromeda, abitato dai nostri antenati umani. Il Presidente (Russel Allen), contrastando il leader dell’opposizione (Tommy Karevik), affida pieni poteri sul pianeta ad un supercomputer chiamato The Frame, in modo da poter risolvere insormontabili problemi politici ed ecologici. Ovviamente il computer, molto più intelligente degli abitanti, decide che l’unica maniera per risolvere i problemi sia quella di distruggere l’umanità estinguendone tutta la razza. Gli abitanti di Alfa si disperano e il Presidente si rende conto di aver compiuto un passo falso. Alcuni abitanti come il diplomatico (Michael Eriksen) e il consigliere (Simone Simons) credono che ci sia ancora speranza, così come il capitano (Tobias Sammet) che propone di utilizzare la sua astronave Starblade per portare alcuni abitanti su un nuovo mondo col fine di poter rincominciare daccapo. Nel frattempo il Profeta (Nils K Rue) prevede che partiranno sul serio prevedendo un mare di macchine simile a quelle di Alpha e un misterioso castello. Infine, gli Alfa arrivano alla conclusione che di salvare il loro mondo non v’è speranza alcuna.

 

The Day That The World Breaks Down apre l’opera con queste premesse e con l’attesissima seconda prestazione in 4/4 della carriera di James Labrie (la prima fu in Human Equation), al quale vengono qui affidate le vesti dello storico. Il brano, coi suoi oltre 12 minuti di durata, è il più lungo dell’opera e ha un tema portante massiccio e piuttosto easy, cole le solite tastiere invadenti tipiche di Lucassen e un sound che più Ayreon non si può. Karevik vero e proprio mattatore con Simone Simons e Tommy Rogers ottimi gregari. Parte centrale affidata a Tobias Sammet e Hansi Kürsch che ben si difendono, veramente spettacolare la parte corale che canta i numeri binari assieme a tutta la fase prog rock seguente che entra con una semplicità disarmante e un Russel Allen totalmente a suo agio. C’è tempo anche per Michael Eriksen ed è un vero e proprio tripudio; l’unica cosa in cui pecca il brano è il suo essere un collage di ottimi momenti senza però avere una legatura forte come un ritornello, del quale non si sente la mancanza ma avrebbe ulteriormente alzato il livello del tutto. Floor Jansen, la biologa, conclude le ostilità. Sea Of Machine, il mare di macchine predetto dal Profeta, è un brano che si apre con strumenti a fiato e ad arco, strutturalmente piuttosto semplice e coi vari cantanti ancora ben giostrati nelle parti acustiche e non. Quando Arjen centra il ritornello non ce n’è per nessuno, e così è, provate a togliervelo dalla testa se riuscite. Dalla fase sognante si passa alle conclusioni degli Alpha con un autentico trionfo di nome Everybody Dies, nel quale si susseguono ogni tipo di amenità e follie: il mood è da musical, scanzonato, vi sono citazioni dalle melodie medievaleggianti di Final Experiment e tanto progressive metal, un autentico capolavoro dai continui sbalzi e zeppo di dettagli uno più vincente dell’altro.

 

SECONDA CRONACA: L’ALLINEAMENTO DEI DIECI

Dieci individui vengono scelti per lasciare Alpa a bordo della Starblade; TH-1 (Mike Mills), un robot rimasto fedele alla razza umana, va con loro per aiutarli a cercare di rincominciare da un mondo lontano, un pianeta acquatico situato vicino alla stella di Sirrah. Col cuore infranto, i dieci porgono i saluti finali ai loro cari e si avviano verso la Starblade attraverso un caos apocalittico; raggiunta l’astronave per miracolo e pronti a partire, subentrano gli ovvi sensi di colpa per l’essere stati selezionati e condannati a vivere mentre il resto dell’umanità è costretta a rimanere a morire.

 

Star Of Sirrah ha il difficile compito di tenere alto il livello dopo uno dei punti più alti dell’album tutto. Ovviamente al buon James è affidato il compito di aprire le danze ed è creato un buon senso di curiosità e anche inquietudine. Quando poi il riff spaccasassi si palesa in tutta la sua magniloquenza il gioco è fatto e torna la magia. Altro ritornello azzeccatissimo e altra giostra canora gestita alla perfezione. Il punto di forza di questi brani è il riuscire, nella loro semplicità, ad essere imprevedibili e a offrire sempre un buon numero di sorprese: ne è una prova l’ottimo ponte, incastrato magistralmente e dalla notevole parte solistica. All That Was recupera un altro degli aspetti fondamentali di Ayreon che è il folk e le melodie con gli archi che tanto hanno contribuito a farne la fortuna; pezzo semplice e acustico nella prima parte, poi elettrico nella parte centrale e finale, assolutamente ottimo, arioso e collocato splendidamente in una tracklist che, per ora, non finisce di lasciare a bocca aperta l’ascoltatore anche più navigato. Run! Apocalypse! Run! deve per forze accelerare le ostilità ed ecco quindi servito un buon speed metal nel quale si susseguono linee vocali allucinanti e una parte progressive centrale stupenda; il ritornello è ovviamente centrato appieno e cattura alla perfezione la drammaticità del momento. Condemned To Live conclude la prima parte di The Source iniziando in maniera acustica e dall’ottimo mood, ci si si aspetta da un momento all’altro l’entrata dei violini e non si viene di certo smentiti, l’accoppiata LaBrieRogers regge il tutto alla perfezione e porta a casa un alto momento di qualità altissima. L’apertura sui distorti è in grande stile e il tema portante è mantenuto magistralmente; qui ci fanno sognare Eriksen e Rogers e spunta anche la Simons! La parte strumentale seguente è da urlo e il finalone Karevik Jansen è da brividi.

Signori, il primo disco di The Source è un autentico trionfo. E non è finita qua.

 

TERZA CRONACA: LA TRASMIGRAZIONE

Dopo essere fuggiti da Alpha, agli umani sopravvissuti viene iniettata una droga messa a punto dal Chimico (Tommy Rogers), chiamata Liquid Eternity ma meglio denominata The Source. La droga è in grado di rendere i loro corpi in grado di vivere sott’acqua e comunicare telepaticamente; inoltre aumenta talmente tanto l’aspettativa di vita da renderli praticamente immortali. Il viaggio verso Sirrah richiede parecchi anni, si mettono quindi in animazione sospesa e, nel sonno, sognano il bel mondo che li aspetta. Al loro risveglio a viaggio ultimato, piangono, ben sapendo che durante tutti quegli anni di viaggio il loro pianeta assieme a tutti i loro cari è diventato ormai storia. Il nuovo mondo li riempie comunque di nuove speranze.

 

Vi è anche nell’album un coro speciale, che è posto a rappresentare l’equipaggio dell’astronave; i cantanti qui sono quattro, Wilmer Waarbrock, Jan Willem Ketelaars, Lisette Van Den Berg e Will Shaw. Aquatic Race si apre proprio ad opera loro e si rivela un buonissimo brano sostenuto da un ottimo ritornello e un buon alternarsi di momenti soft – distorti. Il ponte strumentale è un po’ telefonato in quanto riprende totalmente la linea del ritornello, ma è comunque piacevole e non disturba affatto. The Dream Dissolves e il suo inizio col flauto quanto ricordano Human Equation? Il capolavoro supremo di Lucassen ricorre spesso e non è assolutamente un male, anzi, si parla di autocitazioni brevi, innocue e che strapperanno di certo qualche sorriso oltre a qualche lacrimuccia. Il brano è affidato a Simons, Jansen, Eriksen e K Rue ed è gestito piuttosto bene pur non essendo una partitura impegnativa. Deathcry Of A Race alza un po’ il tiro con una melodia portante votata all’oriente; Allen e Sammet posti all’inizio fanno la loro porca figura e compare la figura del Predicatore, affidata al bravissimo Zaher Zorgati dei Myrath. Il ponte è assolutamente stellare e con tanto di canto lirico alternato all’arabo; Tommy e Floor ci hanno preso nel frattempo gusto e chiudono ancora una volta un altro brano grandioso. Into The Ocean piazza un riffaccio hard rock in apertura e parte con un mood irresistibile, strofe affidate ad Allen ed Eriksen; il top però lo si raggiunge col ritornello affidato ad Hansi Kürsch, talmente fuori dai suoi schemi da essere fantastico! La forma canzone qui è abbastanza classica, segnaliamo però l’ottimo ponte cantato da Karevik e la degna conclusione affidata a Nils K Rue.

 

QUARTA CRONACA: LA RINASCITA

Gli esseri umani e TH-1 iniziano a costruire la loro nuova casa, che chiamano Baia Dei Sogni; ora vivono tutti sott’acqua perché i raggi solari di Sirrah sono mortali. Alcuni di loro sono preoccupati per il futuro, alcuni speranzosi; il Profeta prevede che faranno sì continuare e progredire la razza umana ma anche che il futuro sarà oscuro e tetro. Comunicando telepaticamente, e sentendosi ora più uniti che mai, i sopravvissuti decidono quindi di chiamare il loro nuovo pianeta Y; come effetto collaterale The Source rilassa le loro menti e fa loro dimenticare la precedente esistenza su Alpha. Lasciano felicemente che questo accada e, con colpe e tristezze che lentamente scompaiono, guardano verso il futuro dubbiosi, temendo di compiere ancora gli errori passati e con la paura che la droga potrebbe cambiare e far loro perdere la propria umanità. Il Profeta predice che i loro spiriti diventeranno vuoti ma che la seconda venuta dell’anima universale li renderà ancora una volta totali e pieni. Nel frattempo, il TH-1 lasciato solo e senza scopo, predice che crescerà e diventerà il nuovo Frame per ricominciare ancora una volta il ciclo. Inizierà l’età delle ombre…

 

Bay Of Dreams è un brano aperto in maniera elettronica che si rivela sì piacevole ma non al livello allucinante delle composizioni precedenti; è un brano di passaggio, con alcune dissonanze e che finisce giusto giusto quando sta per crescere. Discorso assolutamente diverso per Planet Y Is Alive!, che centra un altro bersaglio in maniera perfetta ed ha un ritornello in battere irresistibile ancora una volta cantato dall’ottimo Hansi. Qui non si butta via nulla: dalle strofe alla musicalità del brano, e che dire del ponte? L’assolo di chitarra che spunta dal nulla è qualcosa che farà appendere lo strumento al chiodo a molti empiristi della sei corde, davvero strepitoso. Si riprende poi il ritornello e si conclude. The Source Will Flow rappresenta il secondo piccolo e ultimo calo qualitativo dell’opera che, per esigenze di trama, offre appunto un pezzo drogato e assuefatto che viene sollevato da James LaBrie e da Simone ma rimane comunque un brano “normale” rispetto al resto. Journey To Forever torna al musical e serve ancora la perfezione in tavola: strofa acustica poi distorta, coro sul ritornello che rimanda al gospel e sprizzante allegria e felicità da tutti i pori, fantastico. Il vostro lettore cd farà il solco su questa traccia a forza di ripeterla, garantito. Questa può essere considerata la canzone conclusiva dell’opera, in quanto le seguenti The Human Compulsion e March Of The Machines esistono per esigenze liriche e di trama; molto bella la prima anche se brusca e breve, mentre la seconda risulta praticamente un’outro ovviamente in binario.

 

QUINTA CRONACA: CONCLUSIONI E CONSIDERAZIONI

Due parole ovviamente sui musicisti: alla batteria il solito e fedele Ed Warby che è ormai un altro dei marchi di fabbrica del buon Arjen che, come al solito, suona una miriade di strumenti ma in questo frangente non canta. I soli di chitarra, uno più allucinante dell’altro, sono ad opera di loschi figuri tipo Marcel Coenen, un certo Paul Gilbert e un certo Guthrie Govan. Completano il quadretto Joost Van Den Broek al piano, Mark Kelly al sintetizzatore, Maaike Petersen al violoncello, Ben Mathot al violino e Jeroen Goossens agli strumenti a fiato. I cantati ovviamente sono già stati tutti menzionati e gestiti al meglio: alcuni in maniera ruffiana e classica e alcuni in maniera atipica e ugualmente vincente. Non vi è nulla da imputare ad Arjen in questo senso, tranne che un giorno o l’altro saremmo curiosi di vedere in Ayreon un qualche cantante estremo col ruolo di un cattivone malsano e malefico, ma sono dettagli.

La produzione offre quella strana tendenza attuale di voler a tutti costi far suonare pop dei dischi quasi metal se non metal veri e propri. E’ tutto molto pulito, cristallino, la chitarra c’è ma è indietro e a quel “poc” chiuso del rullante bisogna farci un po’ l’orecchio; niente di trascendentale e per fortuna il risultato finale non ne è inficiato in alcun modo.

Concludendo, è finalmente tornata la magia in casa Ayreon ed è tornata con quello che Arjen sa fare meglio. The Source è un album finalmente chitarroso, molto heavy e con tutti gli elementi che hanno reso famosa la serie presenti in maniera massiccia ma mai banale. Il congegno è stavolta costruito alla perfezione e presenta solo un paio di cali verso il finire del secondo disco che non risultano in ogni modo particolarmente pesanti o deludenti. The Source è sinceramente tutto ciò che i fan di Ayreon avrebbero potuto desiderare e forse anche di più; in molti, abituati al livello sempre di un certo tipo dei dischi di Arjen, si aspettavano un disco buono e il solito disco buono, ma qui si sfiora il capolavoro. Sarà il tempo a dirci se lo sarà veramente e se sarà degno di essere ricordato come Human Equation; di certo però possiamo dire che si colloca molto in alto nella discografia del progetto, a voi decidere in che posizione. Noi nel frattempo ci congediamo felici, contenti e appagati. “Addio, e grazie per tutto il pesce.

 

We’re on journey to forever
Dreams eternal, in a wondrous world without walls
We are Forever, wondering what the future holds

 

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