Recensione: The Third Secret

Di Luke Bosio - 24 Ottobre 2018 - 15:00
The Third Secret
Band: Fifth Angel
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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80

Se non avete vissuto in prima persona il periodo metallico a cavallo tra la metà e la fine degli anni ’80 e la sua ideologia, difficilmente riuscirete a connettervi di primi acchito con il nuovo lavoro della cult band Fifth Angel, recentemente riunita con qualche variante rispetto al passato. Stiamo parlando di una band autrice in passato di due vere pietre miliari (l’omonimo album del 1986 e Time Will Tell del 1988), che, sebbene diverse tra loro per contenuti musicali – quasi da sembrare concepite da due band differenti – hanno tracciato solchi profondi nella nostra memoria e qualche mugugno dopo l’inatteso scioglimento. Se amate ancora alla follia i riffs pesanti e quell’enfasi titanica propria dei Metal Church con Mike Howe al comando, le divine aperture melodiche dei Crimson Glory, la drammaticità musicalmente ossessiva dei Queensryche, unitamente ad un gusto prettamente metallico/rutilante a la Jag Panzer/Vicious Rumors (tanto per intenderci), questo è il disco che fa per voi.

The Third Secret è quel tanto ansimato disco che tutti noi almeno una volta nella vita abbiamo sognato di ascoltare: un compendio di magistrali arpeggi, saettanti e ricercati assoli, ritmiche quadrate e martellanti ed inquietanti melodie si uniscono ad un cantato stellare che richiama all’appello tutti gli eroi dell’epoca poc’anzi citati. Seguono prestazioni entusiasmanti da parte di tutti i componenti della band su cui svettano quelle del drummer Ken Mary, transitato alla corte di Alice Cooper dopo lo scioglimento dei Fifth Angel. Nel suo palmares risaltano anche collaborazioni importanti con Impellitteri, House of Lords e pronto ora al debutto discografico con i Flotsam & Jetsam. Ken Mary dà sfoggio di tutto il suo grandissimo repertorio e la sua prestazione risulta davvero impeccabile. Il grande punto interrogativo sulla band e in particolare sulla buona riuscita di questo disco, era dato dal fatto se il chitarrista Kendall Bechtel avesse le qualità e retto il confronto con l’ugola d’oro originale di Ted Pilot (sostituto per un breve periodo da David Fefolt – ex Valhalla, Hawk, Masi, Forgotten Realm, Angels Of Babylon con il quale si esibirono sul palco del Keep it True nel 2017 in Germania!). Kendall si rivela il punto a favore dell’intero disco con una prestazione sopra le righe.

Si parte con la cavalcata Stars Are Falling che si dipana lungo coordinate mid-tempo sostenute da una doppia cassa incessante ove riecheggiano i migliori Vicious Rumours. Davvero superbo il guitar-solo che mi ha ricordato non poco i Queensryche periodo The Warning, ovvero puro distillato di sound metallico equilibrato e splendidamente sincronizzato. Nel brano successivo dal titolo We Will Rise, veniamo proiettati direttamente alla corte dei Crimson Glory del primo splendido omonimo album del 1986, e c’è di che gioire! I più attenti di voi capteranno anche qualche ‘giro’ e fraseggio chitarristico tipico del maestro Akira Takasaki e i suoi Loudness da parte di un ottimo Kendall Bechetel. Ottima la sua prestazione in questo brano anche al microfono. In ogni caso il nostro, più che arrampicarsi su estensioni irraggiungibili, cerca di variare, modulare e bilanciare il più possibile il suo timbro canoro, allo scopo di drammatizzare ulteriormente il già inquietante tessuto sonoro: però, quando si cimenta in difficili passaggi acuti, risulta davvero in grado di stendere chiunque, e sin da subito possiamo metterlo nell’olimpo dei grandi talenti al pari di Russen Allen e Ripper Owens. Segue epica ed anthemica Queen Of Thieves  brano che viaggia sulla falsariga delle ultime composizioni dei Maiden, insomma una di quelle con cui Mr. Bruce Dickinson piacerebbe molto cimentarsi, con tanto di ‘ooohhhhh-ohhhh-ohhhh’ da far cantare il pubblico a squarciagola in sede live. Dust To Dust vi schianta con la sua progressiva potenza, rutilante e nervosa, seppur arricchita da spunti melodici e da un solismo schizoide… Si odono chiari riferimenti alla band di Ronnie James Dio inseriti su un tappeto sonoro power-metal trapuntato di variegati fraseggi solisti di squisita fattura, con un finale altamente spettacolare! Chitarre acustiche e sognanti spezzano la tensione creata sinora dalla band nella ballad dai toni forti Can You Hear Me, interpretata con gran trasporto emotivo, un brano concettualmente talmente “avanti” che mi sembra davvero irriverente tirare in ballo paragoni a questo punto inutili, anche se i più mestieranti di voi sentiranno qua e là influenze chiare da individuare. La chitarra piange lacrime che sembrano cadere nella notte dalla luna. This Is War è un brano ancora più duro e epico, ricco di dissonanze ed impreziosito da vertiginosi squarci evocativi: davvero notevole la compattezza della band, che suona decisa e quadrata. Il ritornello (uno tra i tanti) vi si conficcherà in testa e da li non ne uscirà più. Ora è tempo della title-track introdotta dalla breve Fatima non cela la passione per la religione cristiana e al white metal col quale Ken May e soci sono sempre stati accostati. E’ appunto ‘’Il Terzo Segreto’’ di Fatima ad occupare per intero le liriche del brano: in pratica la descrizione della fine del mondo, l’apocalisse! La band riesce a condensare in cinque minuti quello che altre bands non riuscirebbero a dare nemmeno in un’ora! Siamo quasi giunti al termine dell’ascolto, ma di certo non alla fine delle sorprese, perché i Fifth Angel hanno tenuto in serbo le pallottole più calde per la fine, ovvero due canzoni ad alto tasso adrenalinico, e a parere dello scrivente, una delle due – a scelta – dovrebbe essere stata scelta come opener dell’album. Le imputate Shame On You e Hearts Of Stone colpiscono duro e come frecce vanno dritte al cuore di ogni defenders che si rispetti. Il primo è un brano pazzesco, pieno zeppo di stop and go, cori altisonanti, possente e veloce (vi imbatterete nei Fifth Angel alla massima potenza espressiva, come davvero non li abbiamo mai sentiti prima) e riecheggia i migliori Metal Church di The Dark, dove troviamo un ottimo Kendall alle prese con una difficilissima e rabbiosa parte in total screaming in grado di stendere chiunque. Hearts Of Stone ha invece quel tipico ‘giro’ alla Malmsteen (e per proprietà transitiva Axel Rudi Pell) che fa subito presagire di essere al cospetto di una canzone stupenda…e così puntualmente accade!

Un disco ottimamente bilanciato tra parti aggressive ad altre molto melodiche, scorrevole, non lungo (sono 46 minuti), edificato su suoni dall’infinita bellezza, straripanti di pathos, densi d’emozioni. Tanto mestiere, la capacità di entusiasmare chi fa del classico heavy metal a stelle e strisce la sua religione e la solita passione mista a cocciutaggine nel portare avanti la propria visione della musica; questo possono garantirvi i Fifth Angel versione 2018. Vi basta? 

 

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