Recensione: The Underground Resistance

Di Daniele Balestrieri - 1 Marzo 2013 - 0:00
The Underground Resistance
Band: Darkthrone
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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78

“Koffor, koffor!?” è la domanda che mi verrebbe da fare se rimanessi chiuso in una stanza con Fenriz e Nocturno Culto. Una domanda che dubito avrà mai risposta.
Che a quei due non fregasse nulla di niente s’era già capito ai tempi di F.O.A.D., titolo-risposta all’intera collettività che aveva accusato di alto tradimento una di quelle band che sarebbero dovute rimanere a proteggere i cancelli del black metal dall’avanzata delle orde del “false metal” per puro diritto di nascita.
E invece è arrivato Dark Thrones & Black Flags e poi anche Circle of Wagons, il cui spettacolare incedere true heavy metal senza compromessi ha aperto la strada a un Underground Resistance che è stronger, faster e better di tutti e quattro i suoi predecessori combinati insieme e spogliati di quell’aura fanfarona, a tratti ridicola e volutamente esagerata di cui sono impregnati.  

All’osso, The Underground Resistance è un disco che fonde generi musicali che già alla fine degli anni ’80 erano codificati nella pietra e ben collaudati. C’è chi dice che i Darkthrone, accortisi che con il death non avevano proprio nulla da raccontare, fossero saltati sul carro già in piena fuga del black metal con quel capolavoro di A Blaze in the Northern Sky solo per attirare quell’attenzione di cui tanto avevano bisogno ai principi degli anni ’90. Superati gli anni 2000, il grande pubblico si iniziò ad allontanare dal black metal e due dischi stanchi e incolori avranno probabilmente convinto mr. Nagell e mr. Skjellum a saltare sul treno del “ritorno alle origini” che tanto va di moda in questa ultima manciata di anni. Potrebbe essere stata una mossa ruffiana o potrebbe essere stata una risposta istintiva alla globalizzazione musicale imperante che vede come vittime principali gli ultraquarantenni – come loro – cresciuti a pane e venom che si vedono sfuggire di mano quell’intero genere musicale fatto di valori assoluti che, ai “bei vecchi tempi”, erano appannaggio di pochi eletti. Questo porta alla tipica mentalità “fuck off and die” che però tradisce un’impermeabilità di fondo a qualsivoglia cambiamento: ogni disco è una rivisitazione, ricca di estro e mestiere, che però non racconta nulla di nuovo. Lo stesso A Blaze in the Northern Sky non è altro che un raffinato esempio di quanto già da tempo stava straziando la scena musicale scandinava, anzi, persino Soulside Journey al tempo era una gomma già masticata, per quanto di ottimo sapore.
E Underground Resistance? Un trionfante ingresso, molto più di Cult of Goliath e Too Old too Cold mischiate insieme; Fenriz e Nocturno culto si passano la palla per ben tre volte e si capisce perfettamente quali sono le tre tracce dell’uno e le tre tracce dell’altro; si nota anche quanto Fenriz abbia da sempre strizzato l’occhio a tutte le manifestazioni dell’epos in musica (chi ricorda i Valhall?) mentre Nocturno Culto sia sempre tradizionalmente rimasto legato all’estremo.
Una vera fucilata, anzi, una progressione di fucilate stila la dichiarazione d’intenti di Underground Resistance – “Dead Early” farebbe felici i Motorhead e l’intera scena del thrash ottantiano mentre “Valkyrie” è un colpo al cuore di chiunque abbia solo sfiorato un disco di Quorthon, sebbene la voglia di strafare tipica di Fenriz abbia rovinato quello che poteva essere l’omaggio perfetto a Bathory inserendo una ripetizione di troppo e un testo troppo decadente, lontano non solo dallo stile del Bathory più puro (e ruffiano) di Blood on Ice ma anche dalla poesia di Manilla Road e di quel protoepic ottantiano nemico dei riff al fulmicotone di cui si veste la traccia senza dubbio più epica mai composta dai Darkthrone.

Menzione speciale per quel “Leave no Cross Unturned” dato in pasto alla folla un mese prima dell’uscita del disco e accolto con un ruggito di approvazione da buona parte del milieu black metal norvegese – ebbene sì, persino da quelli che notoriamente si dicevano disgustati dalle ultime produzioni punk/crust della doppietta di Kolbotn.
Cavalcata heavy micidiale adornata dal Riff Perfetto, quello che non ti stancheresti mai di ascoltare, la cui emblematica durata di 13 minuti e 49 secondi dipinge scenari tipici di quell’heavy esasperato vestito di Celtic Frost che appesantiva Circle of Wagons, padre putativo e decisa ispirazione di quest’ultima fatica.

Non esistono filler in questa release – un disco pesante e aggressivo di 40 minuti che in realtà ne sembrano 20 e un alternarsi di feroci rivisitazioni di thrash, speed, doom e punk punteggiate da gorgheggi alla King Diamond e smitragliate epico-battagliere che non sfigurerebbero in un disco-tributo (molto personale) di Bathory. Il problema è la famosa “big picture” – basta poco per rendersi conto che è l’intero disco a essere un filler tra i mastodonti del genere, mostri sacri già nati e morti oltre 20 anni orsono. È un disco tracotante, irriverente e trendy, che ostenta forzatamente un intento e ne nasconde un altro. Chi usa “l’anima” come metro di paragone per la musica dovrebbe essere inorridito da questo Underground Resistance fatto interamente di plastica e specchietti per le allodole. E immagino che per questa schiera di puristi oltranzisti sarà davvero dura resistere alle pure iniezioni di headbanging di “The Ones You Left Behind” e della presto immortale “Leave No Cross Unturned”. E dinnanzi a costoro io mi levo il cappello, tuttavia… la carica trascinante di questo piccolo capolavoro di vere e proprie resuscitazioni retrò è fulgida come la luna piena e fresca come un refolo d’aria in pieno luglio, specie dopo la puzza di chiuso e di marcio che aveva appestato, nel bene e nel male, la produzione degli ultimi anni. Schieratevi, accoglieteli come il figliol prodigo ritrovato dopo anni di abbandono o sputategli in faccia come gli ennesimi ruffiani all’ultima moda: questa è la rete intessuta da due dei veterani più attivi del metal norvegese e noi, come al solito, siamo le mosche intrappolate nella loro trama che ci divincoliamo, persi nella nostra piccola Underground Resistance.

Daniele “Fenrir” Balestrieri

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Line Up:
Nocturno Culto: voce, chitarre, basso
Fenriz: batteria, voce

TRACKLIST:
1. “Dead Early”
2. “Valkyrie”
3. “Lesser Men”
4. “The Ones You Left Behind”
5. “Come Warfare, The Entire Doom”
6. “Leave No Cross Unturned”

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