Recensione: The Venomous

Di Gianluca Fontanesi - 10 Aprile 2017 - 0:01
The Venomous
Band: Nightrage
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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63

Nightrage, e non ti sbagli. Potrebbe anche essere un funzionale slogan pubblicitario per la band di Marios Iliopoulos, o un’arma a doppio taglio se guardassimo le cose da una prospettiva più laterale e il perché è presto detto. The Venomous è il settimo sigillo della longeva e attivissima band scandinava che sembra un po’ come il sesto, un po’ come il quinto e anche un po’ come il quarto e via dicendo. La proposta dei Nightrage è quindi un melodeath di matrice svedese che suona sempre in questa maniera da anni e anni, con scarsissime variazioni sul tema. Possiamo assolutamente considerare la cosa come un pregio e siamo pronti a confermare che l’onestà in qualche modo paghi sempre, ma dopo anni e anni di attività si può iniziare a pretendere qualcosa in più in maniera legittima e senza fare torto a nessuno. Ci troviamo quindi a scrivere più o meno le stesse parole spese per il precedente The Puritan; parliamo quindi di un buon disco, che non ha nulla che non va ma nemmeno nulla che va al di là. Sono 12 le tracce qui proposte e nei 49 minuti il brodo è proposto, mescolato e rimescolato in tutte le maniere possibili. Viene servito veloce, rallentato, in battere, in 2/4 e a tratti lo si può anche prevedere. Va detto, la band si sbatte in tutte le maniere per offrire all’ascoltatore varietà e spessore con brani che però non sembrano mai avere quella marcia in più in grado di alzare il livello globale della proposta dei Nightrage. Produzione e sezione ritmica sono belle rocciose e dal giusto tiro; il meglio però lo danno le chitarre che, nonostante un riffing basico e ordinario per il genere, a livello solistico sono curatissime e con ottime trame e armonizzazioni. C’è tempo anche per uno sporadico blast beat, niente di particolarmente impegnativo per l’ugola di Ronnie Nyman, che risulta a suo agio in ogni tipo di partitura più o meno estrema dell’album. Il registro che tiene è per il 90% lo screaming di sempre e ovviamente male non fa; non sono male neanche i timidi tentativi di clean vocals che vanno ad arricchire brani come Affliction o The Blood senza essere gratuiti o particolarmente forzati. Tutto quindi in The Venomous funziona fin troppo, ma è talmente “professionale” da essere quasi anonimo. Ciò che manca al disco è un qualcosa che lo elevi al di sopra della media odierna e al di sopra dei suoi stessi precedenti, ed è proprio qui che fallisce, finendo per offrire una longevità bassa e qualche ascolto fugace e disinteressato senza mai eccellere veramente. Perfino il concept dietro ai brani del disco è tra i più cannibalizzati del globo terracqueo, ovvero il fallimento dell’umanità e il suo avviarsi verso l’estinzione a causa delle sue stesse mani. Niente di nuovo sotto il sole quindi, tranne che vi sono ombre ingombranti sopra The Venomous: la prima è il recentissimo Embers Of A Dying World dei Mors Principium Est che vince a mani basse il confronto, la seconda un certo Winter’s Gate che vince a mani basse il confronto coi due precedenti messi insieme e risulta ad oggi inarrivabile per chiunque. Possiamo quindi congedarci con la speranza che Marios trovi prima o poi la quadratura del cerchio e ci offra il capolavoro che tutti stiamo aspettando da tempo; per adesso ci si accontenta di navigare a vista.

 

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