Recensione: The Way Of All Flesh

Di Alberto Fittarelli - 23 Novembre 2008 - 0:00
The Way Of All Flesh
Band: Gojira
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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90

Non è decisamente facile stupire, al giorno d’oggi. Abituati come siamo a essere bombardati continuamente dalle “next big things”, da pubblicità sempre più urlate e aggressive, da cover d’impatto che nascondono il nulla artistico, ci perdiamo – solitamente nell’infinito pozzo dell’underground – gruppi fantastici, idee davvero originali e innovative, ma non adatte a conformarsi alle esigenze del business. I Gojira sono però uno di quei gruppi che non ha dovuto conformarsi a nulla, ma solamente essere se stesso, e ha sfondato. Stupiti? Non dovreste, e non lo sarete se ascolterete la loro opera, a partire dal fortissimo candidato come album del 2008, The Way Of All Flesh.

Facciamo però un piccolo salto indietro: da dove sbucano, tutto d’un tratto, questi quattro ragazzi con la faccia pulita? Ovviamente c’è stato molto altro, prima. Al debutto nel 2000 con l’ancora acerbo Terra Incognita, già capace di suscitare sussulti però nell’ascoltatore, i nostri sono stati scoperti dal mercato metal – e dal sottoscritto, per inciso – con lo splendido The Link, del 2003: un album svenduto dai giornali come “una mediocre copia transalpina dei Meshuggah”, o “il metalcore sbarcato a Parigi” (Fratello Metallo perdonali, perché non sanno ciò che dicono), era in realtà un gioiellino di originalità, che univa sì ritmiche innovative (e questo, per alcuni, vuol per forza dire “Meshuggah”) e voce di stampo hardcore, ma in una formula indefinibilmente nuova. Il vibe è decisamente industriale, oggi come allora, ma loro vanno oltre: si parla di modernismo, di atmosfere da terzo millennio, ma lo si fa sobriamente, senza voler risultare futuristi a tutti i costi, con il risultato di suonare vecchi dopo soli pochi anni. Avete presente quei film degli anni ’50 che immaginavano il futuro e che oggi – che il loro “futuro” è già passato – ci fanno ridere? Ecco, loro questo effetto lo evitano.

E lo fanno con musica notevole in modo naturale: una Oroborus che riprende le coordinate del bellissimo (e già evoluto) From Mars To Sirius, aggiunge un pizzico di clean vocals e di melodia alle ritmiche ipnotiche del gruppo, dice tutto quello che i Gojira possono dire nel 2008, andando addirittura oltre le aspettative. Un passo avanti a tutti, il loro modo di suonare apocalittici prescinde le analisi troppo tecniche; come tutti i veri artisti, prendono la materia, i colori a loro disposizione, e plasmano il tutto solo e unicamente in funzione di un risultato, ed è di quello che ci dobbiamo occupare. Un muro di suono, tanto sperimentalismo e gusto ritmico – e per questo bisogna sicuramente ringraziare Mario Duplantier, batterista che insegna a tutti quale sia la differenza tra “gusto” e “tecnica” – e una serie di idee, di spunti, di momenti che si imprimono nel subconscio al primo ascolto, per poi richiedere a gran voce nuovi passaggi per riscoprirli e gustarli a pieno. Ascoltate con calma e attenzione la furia di Toxic Garbage Island, l’apocalisse evocato da The Art Of Dying, la versione “Morbid Angel del terzo millennio” di Esoteric Surgery, degna del miglior Domination, ma comunque temporalmente e mentalmente oltre a quel disco, e vi chiederete dov’eravate mentre i Gojira sbocciavano e crescevano. E, se siete sensibili anche al loro messaggio, mentre il pianeta declinava sotto i colpi di scure sferrati dall’umanità.

La produzione – complice anche il mixing di un certo Logan Mader – è perfetta per il suono di The Way Of All Flesh, uno di quegli album che va a costituire un capitolo distinto di una discografia memorabile, una di quelle che gli appassionati ricordano a memoria; sicuramente, non uno di quegli album di cui si parla come del “quarto disco di quei francesi…”. Arricchito, nella versione limitata, da un digibook dipinto da un layout tribaleggiante, oscuro ed estremamente simbolico, questo è prima di tutto un CD da possedere (il che al giorno d’oggi non è così scontato); e poi da assaporare con calma, sapendo di avere tra le mani, e nello stereo, un pezzetto di storia del metal.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

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Tracklist:

1. Oroborus 05:21
2. Toxic Garbage Island 04:06
3. A Sight to Behold 05:09 [mp3]
4. Yama’s Messengers 04:04
5. The Silver Cord 02:32
6. All the Tears 03:41
7. Adoration for None 06:19
8. The Art of Dying 09:53
9. Esoteric Surgery 05:44
10. Vacuity 04:51 [mp3]
11. Wolf Down the Earth 06:25
12. The Way of All Flesh 17:02

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