Recensione: The White Crematorium

Di Stefano Risso - 27 Giugno 2005 - 0:00
The White Crematorium
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Anno: 2005
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80

Ecco giungerci dall’Olanda un altro eccellente disco, in ambito estremo, per questo generoso 2005. Con The White Crematorium i The Monolith Deathcult proseguono il discorso intrapreso due anni fa (col debutto The Apotheosis) all’insegna della brutalità pura.

Sarebbe però riduttivo etichettare The White Crematorium solamente come un disco di brutal death ultracompresso e schiacciasassi (quale è) senza tenere conto dello sforzo del gruppo di inserire nel contesto della propria musica degli elementi che conferiscano una buona dose di epicità e di momenti evocativi in grado di elevare la proposta dei TMDC rispetto alle numerose uscite “fotocopia” tanto frequenti in un genere come il brutal. Diciamo subito che la presenza dei Nile, lungo le nove tracce del disco, aleggia qua e là e a tratti l’influenza della band di Sanders è palese. Del resto risulterebbe davvero difficile non prendere spunto dalla famosa formazione americana, nel voler unire il lato puramente violento del death con “melodie” dal sapore orientale e stacchi ricchi di pathos. Pur essendo ben lontani dalla complessità strutturale che i Nile hanno acquisito con gli ultimi lavori, i TMDC danno prova di essere maturati rispetto al debutto e di possedere una personalità più che soddisfacente. Le canzoni sono un ricettacolo di violenza pura, con un song-writing equilibrato (ma che si può migliorare), in continua tensione tra momenti serratissimi e break “spezzacollo”, unita ad una tecnica strumentale invidiabile. Oltre ai consueti strumenti di lavoro consoni ad un disco del genere (growl cavernosi con sprazzi in scream, torrenziali blast-beat, ritmiche claustrofobiche e assoli schizzati) è interessante l’utilizzo della tastiera per sottolineare i momenti epicheggianti dell’album, dosata neanche con troppa parsimonia ma senza risultare invadente.

I nostri fanno subito “selezione all’ingresso” con Army Of The Despised, mettendo bene in chiaro le coordinate del disco, anche se i brani migliori verranno successivamente. Con la seconda 7 Months Of Suffering si raggiunge a mio parere l’apice del disco, dove le due anime del gruppo sono meglio amalgamate rispetto al resto del cd, raggiungendo picchi di violenza annichilente unita a stacchi da brividi. Una dopo l’altra vengono snocciolate tracce ben identificabili che potrebbero essere citate tutte per la propria qualità media. Particolarmente convincenti sono 1567 – Under The Bloodcampaign (che più si avvicina allo stile Nile), Origin, la song più diretta del lotto e la settima The Cruel Hunters asfissiante e con una buona prova a livello compositivo, nei suoi cinque minuti abbondanti di devastazione. Discorso a parte per la traccia conclusiva (ed il breve intermezzo strumentale). La title-track abbandona la velocità per un brano lento, sofferente, dove le chitarre doomeggianti e i bellissimi inserti tastieristici danno il colpo di grazia con una pesantezza ed ispirazione notevole.

Ad arricchire un disco eccellente dal punto di vista musicale, ci sono testi incentrati sul tema della guerra e sulle nefandezze del genere umano. Grazie alle sempre più consuete relative note e spiegazioni a margine, riusciamo a cogliere il senso delle lyrics. Una passione per gli avvenimenti storici cruenti che vanno dalle vicende di un esercito di nazisti e del proprio comandante (Army Of Despised), a racconti biblici delle lotte tra Ebrei e Filistei (7 Months Of Suffering), passando per il più crudele lager stalinista (The White Crematorium) verso avvenimenti recenti come il disastro atomico di Cernobyl (Concrete Sarcophagus).

La produzione è buona, conferisce grande impatto mantenendo una patina di “sporcizia” del suono che è adatta a dischi del genere. Anche se nei momenti più concitati il suono tende ad impastarsi leggermente, offuscando il lavoro delle chitarre.

The White Crematorium è un gran bel disco, che dovrebbe essere un ascolto obbligato per gli appassionati di queste sonorità. Per chi non ha dimestichezza col brutal è meglio che stia alla larga, perchè i TMDC non fanno nulla per venirvi incontro. Pur essendo un lavoro ben eseguito i nostri possono/devono cercare di migliorare ulteriormente la propria musica, attraverso partiture maggiormente dinamiche e complesse ed un uso delle parti solistiche più curato. Rimane comunque un album assassino che proietta i The Monolith Deathcult ai primissimi posti delle band emergenti in campo estremo. Fatelo vostro!

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