Recensione: The Wine-Dark Sea

Di Alessandro Marrone - 8 Maggio 2018 - 15:00
The Wine-Dark Sea
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2018
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
75

Se tra di voi c’è qualche adepto delle pagine maledette del Necronomicon di H.P. Lovecraft, qui c’è pane per i vostri denti. Già la copertina, una sorta di diabolica casa delle bambole comincia a lasciare qualche primo indizio del disco che ci apprestiamo ad ascoltare, il nuovo lavoro dei The Osiris Club, combo inglese difficilmente classificabile e che fa del suo sound un convincente ibrido tra il progressive in stile King Crimson e Genesis ed un post rock melodico con chiari riferimenti ai temi letterari cupi ed impregnati di mistero di cui sopra. Non ci sono soltanto tributi al maestro Lovecraft, ma anche al grande Rick Aickman, i quali echeggiano dall’inizio alla fine attraverso un album che apre le proprie finestre, l’una dopo l’altra, spingendoci all’interno di un corridoio misterioso, ma che al tempo stesso offre delle aperture melodiche interessanti, esattamente come la band sottolinea, confermando che anche nella più buia oscurità, c’è sempre un pizzico di luce che dovrà bilanciare quel nero totale, che altrimenti sarebbe un semplice vuoto, un’assenza totale di ogni cosa. Tutto ciò che The Wine-Dark Sea invece non è, offrendo 50 minuti di buona musica.

La opening track si intitola Wormwood Grange, ha un riff orecchiabile e pare ricordare le imprese melodiche di Genesis e Boston, ma in realtà il suo animo è ben più misterioso ed è la colonna sonora dei vostri primi passi in questo tunnel buio che è The Wine-Dark Sea. Segue Island Of Stone, più movimentata, quasi frenetica ma a tratti claustrofobica e con una voce ossessionata ed ossessionante. Anche questa canzone è facile da assimilare e contribuisce a tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore. Discorso differente, seppure la qualità sia sempre elevata, con The Hopeless Distance e – consentitemi l’ossimoro – la sua sinistra allegria. I toni sembrano quasi rassegnati, ma ecco spuntare quel bagliore di luce che contrasta provvidenzialmente il buio più oscuro, con un ritornello melodico. Mausoleum ha un’aria quasi rituale e si evolve grazie ad un notevole uso del synth, utilizzato a metà tra l’enfasi drammatica creata ed aperture tipicamente prog rock. La mia preferenza cade su The Signal, che parte decisa ed alterna attimi psichedelici, toccando anche con delicatezza quasi reverenziale, un po’ come se l’ispirazione fosse arrivata direttamente dall’altrove. Voce predominante e ritornello che ti entra subito in testa con la successiva Ringing The Changes, davvero eccezionale nella sua semplicità. Se nelle prime 3 canzoni ci siamo trovati di fronte a brani orecchiabili e con chiare occhiate al passato del rock, con le successive 3 abbiamo avuto a che fare con episodi più personali ed ancora più convincenti. Il tris di canzoni che chiudono l’album differisce ancora e ci porta attraverso il continuo crescendo di With The Giants, forse la più ricca di cambi emotivi di tutto il disco. Citadel Of The Fly aumenta la sensazione che qualcosa si stia impadronendo di tutto ciò che ci circonda, suona quasi rassegnata nonostante sia ricca di sfumature, a tratti PinkFloydiane. Ma non è finita qui, ci attendono ancora gli oltre 11 minuti dell’episodio finale intitolato A Winters Night On Sentinal Hill, i quali ci prendono e trascinano in un luogo spettrale, fatto di break, variazioni, ripartenze che non si allontanano mai dal mood principale dell’album, confondendo ciò che è reale da ciò che non lo è. Forse siamo sempre stati a qui, ma non lo sapremo mai. Quel che è sicuro è che l’alone di mistero che perdura dall’inizio alla fine lascia il medesimo indescrivibile mistero dei racconti tormentati di H.P. Lovecraft.

The Wine-Dark Sea è un disco che si può sentire completamente, grazie anche ad un feel analogico che contribuisce a rendere più veri gli strumenti e che benedicono l’ampio utilizzo dei sintetizzatori, sfruttati per gran parte dell’opera. Non lo senti solamente con l’udito, ma ti sembra quasi di poterlo afferrare, un po’ come un pupazzo dal ghigno malefico vinto al luna park degli orrori, nonostante sia ben chiaro che non si tratti del più classico horror, bensì di quell’innominabile sgomento che il maestro Lovecraft era così abile raccontare nei suoi scritti. Sicuramente diverso da ciò che imperversa nel panorama rock/metal odierno e tanto inclassificabile quanto indefinibile. Potrebbe essere un disco di 40 anni fa, come la nuova uscita di una band davvero interessante. In qualsiasi dei casi, abbracciate l’incubo ed entrate in questo sinistro antro della paura.

Brani chiave: The Signal – Ringing The Changes

 

Ultimi album di The Osiris Club