Recensione: The Wolves Are Getting Hungry

Di Marco Giono - 29 Luglio 2015 - 15:00
The Wolves Are Getting Hungry
Band: Hyades
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2015
Nazione:
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80

 

Ferro azzurro ama Anacott Acciaio (cit. Gordon Gekko)

Il 5 febbraio 2003 il Segretario di Stato americano Colin Powell deve convincere le nazioni unite che il conflitto con l’Iraq è cosa giusta. Tuttavia un nemico temibile e primitivo deve essere zittito. Una riproduzione di Guernica (originale completato nel giugno del 1937), il celebre dipinto di Picasso, dovrà essere censurato in modo da non risultare visibile nell’attraversare il corridoio che portava alla sala conferenza perché avrebbe potuto, secondo fonti ufficiali, ingenerare confusione per via dei colori. Già i colori… Quel dipinto è in realtà un grido ieratico di dolore verso i regimi totalitari e verso la guerra (ricordiamo che Picasso lo dipinse in seguito al bombardamento che aveva distrutto Guernica, un villaggio basco nel nord della Spagna), la cui energia primordiale si sprigiona in tutta la sua forza incurante del tempo. Ho sempre ritenuto che la musica metal fosse anche un’altra modalità per esprimere dissenso verso le ingiustizie e che le connessioni con l’arte figurata fossero inevitabili. Così sorrido nell’ammirare la copertina di The Wolves are Getting Hungry degli Hyades che riprendono il dipinto intitolato Il Quarto stato (1901) di Giuseppe Pellizza da Volpedo e ne invertono i termini. Il dipinto originale poneva al centro della scena il ceto di quelli che non contano (in questo caso il proletariato che rivendica i suoi diritti), una forza resa invisibile diventa minaccia immanente; quei figuri in cammino verso di noi (braccianti in sciopero) incrinano le certezze del potere acquisito. Un’altra società è possibile? No, non proprio. Trascorso un secolo il thrash metal italiano degli Hyades spazza via tutto e il Quarto Stato viene invaso dagli stessi figuri estromessi dal dipinto originale, i tre stati (clero, nobiltà, borghesia) ora occupano il mondo. Cinismo? Non vi è dubbio. Scendiamo in profondità a vederci dentro.

Mai, mai scorderai l’attimo che la terra tremò. (cit. Ken il Guerriero, prima serie)

“Have you seen what happened to Fannie Mae and Freddie Mac”…un jab al viso? Più probabilmente una scarica di violentissime scie che ricordano un famoso un attacco di Ken Shiro (mi chiedevo se fossi mai riuscito a citare il famoso manga? Fatto) investe l’ascoltatore incauto. Sputiamo gli ultimi denti e ci alziamo da terra barcollando.  Ritmi serrati per le chitarre di Negonda e Testa, voce rabbiosa di Colombo a sfiorare il rantolo tipico del Death, rallentiamo solo nel ritornello dove la batteria di Ridolfi incede pesante mentre la voce abrasiva si muove beffarda in una discesa ripidissima e violenta lungo i grafici un Orso gigantesco che inghiotte speculazioni e sogni rilucenti di illusioni cicliche. Rimaniamo così tramortiti dalla prima traccia “The Economist” di The Wolves are getting Hungry.

I fought hard until the end, but my generation has lost…I riffs di “Ignorance is no Excuse” ci accerchiano, mentre la voce picchia senza tregua. La disfatta di ogni generazione si distorce in una corsa furiosa e minimalista che irradia energia. Scuotiamo la testa posseduti. Altro non è possibile fare.

We are the only species that has stopped the evolution…chiaro? Cristallino. La terza traccia “The Decay of Humankind” diventa allarme e quei riffs si succedono nefasti, qui gli Hyades si avvicinano ai Kreator più arrabbiati di Hordes of Chaos, la voce incede corrosiva e i cori alle spalle esplodono nucleari sullo sfondo. Da menzionare il lavoro della sezione ritmica pilotata dal basso di Rob Orlando.

“We are the the democracy, The Apostle of War”, Non mollano di un millimetro muro di suoni contro le deriva guerrafondaia dei potenti che qui diventano apostoli della guerra a dare il nome al quarto brano dell’album.

“Only the winners write down history”… riff ossessivi prendono vita in “The Great Lie” e finiamo nella tana del bianconiglio ad affrontare l’eterno dilemma di una realtà plasmabile solo da coloro che vincono. Le pareti di cemento si distorcono, appaiano sequenze binarie… Gli Hyades continuano a imperversare nel loro thrash che potrebbe rimandare ad una versione degli Anthrax prima maniera, ma corretti con pillole di concentrato al Napalm. 

We’re now too young for the old school and too old for the new… probabilmente questo brano intitolato “Heavier than the st (Hyz IV)” nasce dall’incontro improbabile di uno specchio e una birra (biografia da taverna?). Ha un incedere che rimanda ai Pantera di Cowboys from Hell, ma lo stile degli Hyades è inconfondibile e raccontano qui l’orgoglio di esserci, malgrado ai nostri giorni i mari tempestosi del metal siano più adatti a sirene che non a rozzi pirati.

“Never get a CD, get it on emule”… segue beffarda e irridente “Sing this rhyme” in riff che ritornano come mille palline in un flipper fluttuante e selvaggio. La musica corre in digitale senza sosta e quel mondo illegale inonda il mercato musicale travolgendolo.

“The toilet bowl in the morning”… l’ottava traccia “Eigth beers after” corre veloce tra birre, emicranie, amnesie e in ultimo diventa inno ad una vita dissoluta la cui colonna sonora è metal fino all’ultima lattina. 

 “Take a selfie, smile and wink, be the worst solution”…chiudono con la titletrack gridando al cielo impenetrabile il loro thrash che pur attingendo al passato trasuda energia e forza proprio come i dipinti Guernica o Il Quarto Stato (citati nell’introduzione). 

Il disco si chiude con “Hyades”, brano tratto dal album d’esordio Above Your Illusions del 2005, qui rivisto nei suoni e perfettamente a suo agio rispetto ai nove brani inediti di The Wolves Are getting Hungry.

 

E gli avvoltoi sulle case sopra la città senza pietà (cit. Ken il Guerriero, prima serie)

 

Sei anni dopo il loro terzo album “The Roots of Thrash” riappaiono quindi gli Hyades con un album che può essere solo più veemente e feroce. Il loro mondo, quello della musica metal fatta di passione e birra, in quei sei anni ha seguito una traiettoria schizofrenica perso tra modernità allucinate e un pop metal sempre più da salotto. Sul loro cammino però è apparsa l’etichetta italiana Punishment 18 Records (eppure continuo a pensare che siano ispirati a Rust in Peace e a quei due brani…”Holy Wars… The Punishment Due” e “Hangar 18”) dedita a produrre gruppi thrash/death di qualità e anche da quell’incontro molto probabilmente nasce The Wolves Are getting Hungry.
Tempo di dare giudizi? Già. Si alzano le palette del recensore onnisciente. Come segue:

Eleganza 5, non è il loro forte, ma non siamo mica all’atelier di Dolce e Gabbana, eh?
Violenza gratuita 8, adoro il suono di una spranga di prima mattina
Dallo studio con furore 8, è un piacere sentire quei riffoni inondarti l’epidermide
Personalità 8, il loro stile è inconfondibile anche quando citano il thrash degli dei
Ubriachezza molesta: 9, credo abbiano mentito sul numero di birre

Si tratta semplicemente di eliminare il voto più alto e quello più basso per ottenere un ottimo album di thrash che mantiene alta la tensione per tutte le nove traccie grazie a riff sempre ben suonati, suoni fantastici e una personalità da band di primissimo ordine. Ben tornati Hyades.

 

MARCO GIONO

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