Recensione: The Womb of Primordial Nature

Di Emanuele Calderone - 27 Maggio 2010 - 0:00
The Womb of Primordial Nature
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Genere:
Anno: 2008
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80

Talvolta è il caso di fare un’eccezione. Per una volta, quindi, partiamo dalla conclusione e diciamo subito che “The Womb of Primordial Nature” è un bel disco, uno di quegli album capaci di catturare l’attenzione dell’ascoltatore sin dal primo ascolto.

Gli October Fall, nati nel 2001 come solo-project del finlandese Mikko Lehto, propongono un sound che si pone come ideale punto di incontro tra gli Empyrium, gli Ulver del periodo “Bergtatt”/”Kveldassanger”, i primi Opeth e i Katatonia del periodo death/doom. Partendo da tali considerazioni, il platter presenta pertanto un’alternanza di parti acustiche e riflessive, dalle quali emerge l’anima malinconica e delicata della band ed altre decisamente più tirate ed aggressive.
Il full length è aperto dai dieci minuti abbondanti di “I”, canzone nella quale il gruppo si dimostra in possesso di tutte le qualità per ritagliarsi un posto tra i migliori acts del genere. Il brano viene introdotto da un arpeggio di chitarra acustica, dai toni estremamente cupi, al quale segue una sessione strumentale che riporta alla mente gli Opeth di “Orchid”.
A mettersi subito in mostra è la voce di Lehto, ottima negli scream, che risultano potenti e laceranti, riuscendo a conferire al pezzo un mood funereo.
Dal punto di vista strettamente musicale, “I” si muove a cavallo tra sonorità death/doom e accenni black, con influnenze vagamente progressive riscontrabili nei lunghi momenti strumentali che vengono proposti all’ascoltatore. Il riffing risulta incalzante e ben architettato, mentre la sessione ritmica si dimostra solida e varia.
“II” prosegue sulle coordinate della precedente song, sottolineando ancor di più la vena doom, presentando numerose parti rallentate, sempre e comunque alternate a repentine accelerazioni, che rendono la canzone ancora più variegata ed attraente. Ottimi gli spunti acustici posti rispettivamente a metà e a fine brano, estremamente atmosferici e dotati di gran fascino.
E’ con gli ultimi due episodi, però, che il trio da il meglio di sè: “III” e “IV” rappresentano infatti i momenti più alti di questo “The Womb of Primordial Nature”, raggiungendo delle vette compositive ed emotive veramente elevate. La componente folk diventa preponderante, i momenti acustici assumono un ruolo di fondamentale importanza divenendo la base dei due pezzi. A questi si affiancano le consuete sferzate sonore, dalle quali traspare un’inconsueta capacità di coniugare una ferale aggressività e un gusto tutto personale per linee melodiche d’effetto ed eleganti, velate di una palpabile malinconia. Ancora una volta il lavoro svolto dal cantante dietro il microfono è valido e convincente: il growl profondo e cattivo conferisce potenza alle canzoni, che ne guadagnano molto in termini di impatto emotivo sull’ascoltatore.
In entrambi i casi, nonostante le strutture articolate e la lunga durata (le due canzoni superano gli otto minuti di durata), i ragazzi riescono nella difficile impresa di non risultare prolissi e noiosi.

Volendo spendere qualche parola sulla prestazione dei musicisti, i tre offrono una prova del tutto esente da critiche per quanto concerne la prova tecnica, non mostrando mai il fianco. Le lunghe sessioni strumentali vengono affrontate con invidiabile maturità e mostrano una band conscia dei mezzi a propria disposizione.
Minuzioso anche il lavoro in fase di registrazione, che rende giustizia al compito svolto da ciascun membro, grazie a volumi calibrati perfettamente che lasciano il giusto spazio a tutti i componenti.

Questo è quanto. Come già espresso in apertura di recensione, questo Lp appaga sotto ogni punto di vista. La freschezza del songwriting, unitamente ad un’accurata ricerca melodica e ad una prestazione tecnica di ottimo livello, rendono “The Womb of Primordial Nature” un disco assolutamente meritevole di attenzione.

Tracklist:
01 I
02 II
03 III
04 IV

Emanuele Calderone

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