Recensione: Them

Di Robym - 2 Giugno 2003 - 0:00
Them
Band: King Diamond
Etichetta:
Genere:
Anno: 1988
Nazione:
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90

“Look, the old bitch is back…” Con queste dolci parole inizia l’Intro di questo nuovo capitolo della discografia della band di King Diamond (il mio musicista prediletto, assieme al grande Ritchie Blackmore) dopo la scissione dei Mercyful Fate: Them è il suo terzo album da solista, forse il suo progetto più ambizioso o quantomeno molto personale, visto che nella storia raccontata (come al solito nei lavori di King Diamond gli album sono dei concept) è presente una componente autobiografica. Parla di un ragazzino, King (sarà poi veramente lui?) e delle vicissitudini che accompagnano il ritorno della malvagia nonna (Grandma) a casa (House Of Amon) dopo un periodo di assenza a causa di un ricovero per problemi mentali (si scoprirà in seguito che lei uccise il nonno). Al suo ritorno iniziano a verificarsi strani eventi: la nonna parla con strane entità, “Loro” (da qui il titolo Them) esseri spirituali invisibili, suoi amici con cui si rapporta da anni e che la soggiogano e ne controllano il comportamento. Ogni sera il rituale si ripete nella stanza della vecchia; la nonna per far piacere ai suoi amici, prepara del tè aggiungendovi un ingrediente particolare molto gradito ai suoi malefici ospiti: del sangue umano, che prende dal piccolo King e da sua madre. Missy la sorella di King, viene a conoscenza di tali pratiche occulte ma nel tantativo di porvi fine viene uccisa dalla nonna e dagli spiriti. King comunque riesce in qualche modo a liberarsi dalla morsa malvagia e scappa via: avvisa la polizia e viene preso in custodia dallo psicologo dottor Landau a cui racconta la storia. L’analista crede che il ragazzino sia alienato e decide di ricoverarlo in un sanatorio (lo stesso in cui era stata tenuta la nonna) in cui rimane per 9 anni. Quando esce, dopo una cura che evidentemente gli ha tolto gran parte dei ricordi, ha delle visioni che piano piano lo portano a ricordare. Passano altri 9 anni e King riceve una chiamata che lo sconvolge: al telefono sente la voce di colei che pensava fosse morta, la fonte e l’origine di tutto il male che ha sofferto, sua nonna. Decide di tornare a Casa Amon nella speranza di porre la parola fine a quest’incubo. Così finisce la prima parte di questa horror-story che continuerà nel successivo “Conspiracy”. Musicalmente parlando, l’album presente delle innovazioni rispetto ai lavori precedenti: lo stile di King Diamond (che si è rifatto anche il trucco) è più articolato e complesso, alcune canzoni risultano veramente ostiche da capire. Dopo l’intro “Out From The Asylum” che descrive la deospedalizzazione della nonna, si parte con “Welcome Home” tellurica canzone d’apertura che da il bentornato alla vecchia megera con un drumming magistrale in cui Mikkey Dee dimostra tutta la sua bravura: questa è una delle canzoni più belle dell’album, e di tutta da discografia del singer, specie se accompagnata dal video; il riff iniziale si evolve durante la canzone portando a delle variazioni degne di nota. Si passa poi alla veloce “The Invisible Guest”, altra sublime esecuzione della band, che prepara il piccolo King alla scoperta dei rituali di casa; la terza song “Tea” (esatto, parla proprio della bevanda) è più tranquilla e cadenzata ma rimane sempre su alti livelli: dopo averla ascoltata non berrete mai più il tè come prima. Da questo punto in poi si nota un leggero calo compositivo: le canzoni sono strutturate bene ma sembra che manchi qualcosa per riempirle e renderle compatte (qualcuno potrebbe obiettarmi che tale inferiorità è soltanto apparente in quanto le canzoni aumentano di complessità). Si susseguono “Mother’s Getting Weaker” composta dal chitarrista Andy LaRocque, “Bye Bye Missy” migliore della precedente (incredibile Diamond quando interpreta Missy), “A Broken Spell” (anche questa di LaRocque) che termina con l’espressione dei sentimenti di Diamond “Oh i hate that bitch!”. L’album si riprende (o meglio, torna su livelli di eccellenza) con gli ultimi pezzi: “The Accusation Chair” splendido pezzo in cui si susseguono notevoli cambi di ritmo e soprattutto di voce, visto che il singer alterna il suo tipico falsetto alla voce pulita a dei pezzi più profondi (cosa che in verità fà anche in altre canzoni). Dopo la strumentale “Them” tenebroso pezzo composto da Diamond e LaRocque, l’album si conclude con “Twilight Symphony” anche questa molto articolata e ben eseguita e quindi l’ultimo pezzo, parlato, “Phone Call” (l’interpretazione della nonna è incredibile) che rimanda la conclusione. La versione rimasterizzata contiene alcune bonus track, tra cui gli strumentali di “The Invisible Guest” e “Bye, Bye Missy” (con Diamond e LaRoque alle chitarre, Hansen al basso e Dee alla batteria) che sembrano registrate in un garage adibito a sala prove (ascoltare per credere). In conclusione, l’album è su ottimi livelli (anche se, a mio giudizio, inferiore a capolavori quali Abigail, The Eye, Voodoo), la band è una delle più tecniche in assoluto della discografia di King Diamond (Andy LaRocque e Pete Black alle chitarre, Hal Patino al basso e Mikkey Dee alla batteria): le canzoni migliori sono sicuramente le prime, con i loro potenti riff e assoli imperiali e quelle della parte conclusiva; peccato per il calo nella parte centrale e per qualche passaggio non riuscito che assieme alla produzione, non proprio degna della discografia della band, penalizzano la valutazione finale, che rimane comunque un masterpiece. Consiglio l’acquisto a coloro che amano ascoltare qualcosa fuori dagli schemi classici e quindi qualcosa di non facile assimilazione. “Don’t be afraid, Missy… be afraid poser!!” 😉

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