Recensione: Then I

Di Daniele D'Adamo - 13 Settembre 2013 - 0:01
Then I
Band: Neith
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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76

 

I Neith nascono a Genova nel 2009. Un’idea del chitarrista Fabio Pozzo dà il via a tutto, coinvolgendo subito gli amici Dania Longo al basso e Paolo De Palma alla batteria. Dopo un anno, David Krieg prende il microfono in mano completando la line-up e quindi, nel 2011, arriva il demo-EP “Soul Disfigurement”. Un anno ancora e giunge l’ora di registrare il primo full-length, “Then I”, prodotto dal chitarrista dei Necrodeath Pier Gonella. Giusto il tempo di fissare per sempre le parti di batteria su un supporto digitale, e la vita mostra tutta la sua crudezza con De Palma, non lasciandogli scampo a soli ventisette anni di età. Un evento durissimo anche per la band genovese. Che, a distanza di altri dodici mesi, trova forza e coraggio per andare avanti e quindi terminare le registrazioni di “Then I”, sì da confezionarlo come dono per il compagno scomparso.  

Anche se il disco è stato inserito da chi scrive nel death, non bisogna farsi fuorviare da ciò nel modo più assoluto. Certo, “E.DK.”, soprattutto all’inizio, suona death che più death non si può, pensando a quello puzzolente figlio del thrash di fine anni ’80 tipo… Death. Come del resto certe furibonde ‘growlate’ di “Endurance Of Failure” sanno di carne marcia lontano un miglio. Tuttavia, la filosofia musicale dei Neith abbraccia più di un genere, oltre a quello appena menzionato. C’è il thrash, appunto, ma ci sono numerose contaminazioni che si possono focalizzare principalmente nell’heavy metal e nel mai troppo considerato dark metal, costola meno deviata del black ma, spesso e volentieri, assai più sulfureo e tenebroso del black medesimo. Dark metal consanguineo, anch’esso come l’heavy, alla NWOBHM. Con la conseguenza inevitabile che “Then I” possiede un deciso retrogusto retrò, rinvenibile in parecchi passaggi che rievocano le gesta leggendarie dei ‘primi’ Megadeth, di King Diamond, dei Metal Church di “The Dark” (1986) e, seppur più velatamente, di Angelwitch e Death SS.

Con simile un elenco di act ad attestare possibili influenze per il sound dei Nostri, si potrebbe pensare a “Then I” come mera, nostalgica esecuzione di sonorità date ormai per morte e sepolte. Così non è, invece, poiché Pozzo e compagni riescono a sviluppare la loro pensata di base in maniera del tutto autonoma cercando, riuscendoci, di dar luce a una proposta magari non originalissima ma senz’altro ricca di carattere e personalità. Lo dimostrano brani come “I Wish To See You Die” e “Soul Disfigurement”. Nella loro dura riottosità, animata da segmenti thrash e death, si aprono come squarci di cielo azzurro nella tempesta degli ottimi intarsi melodici dal tono decisamente epico. Un’altra caratteristica, cioè, che si somma alle altre (compreso l’uso di female vocals tipiche del gothic…) senza creare confusione o incertezza sulla giusta direzione da prendere ma che rende ancora più singolare la proposta dei liguri.    

Malgrado questi tratti sicuramente coinvolgenti per la loro armoniosità, “Then I” è un lavoro che va assimilato a poco a poco, avvalendosi di tutto il tempo necessario che, a seconda della propria personale sensibilità, può abbracciare anche una dozzina di ascolti come minimo. “Stream Of Consciousness”, difatti, ribadisce l’indole estrema del quartetto fra granitiche dissonanze e rabbiosi growling. Così come “Neith”, in cui Krieg declama i suoi versetti un po’ a là Paul Chain fra bordate di riff stoppati e compressi e, nuovamente, deliziosi segmenti melodici supportati dagli ottimi soli della lead guitar. Facendo peraltro onore all’importanza del suo nome, che identifica la band, la canzone non fatica a qualificarsi come la migliore del lotto. Notevole per profondità ed emotività, infine, la lenta “Sleeping Chambers”, vera e propria ballata, dolce e melanconica.  

Buona prova d’esordio per i Neith, quindi, che con “Then I” mostrano una diversa chiave di lettura per il metal oltranzista, recuperando con efficacia, senza cadere nella commiserazione di forme musicali arcaiche, l’irripetibile aroma vintage degli eighties.    

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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