Recensione: Third Witness

Di Stefano Ricetti - 3 Giugno 2015 - 19:52
Third Witness
Band: Ripper
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2015
Nazione:
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74

Come già scritto in apertura di recensione per il loro secondo full length The Dead Have Rizen, nell’agosto del 2009, la storia dei texani Ripper parte da lontano e affonda addirittura negli anni Settanta, quando la bassista Sadie Paine, insieme con il batterista Animal Axeman, fondano il gruppo. Dopo il cambio a rotazione di innumerevoli chitarristi, nel 1980 si imbattono in un personaggio – nel vero senso della definizione più pura – come Rob Graves, già dedito all’heavy metal e occasionalmente anche cantante. L’incontro fra queste masse critiche fa scaturire la vera prima cellula duratura dei Ripper, che assestano la line-up con l’innesto dell’axeman Johnny Crystal e J.D.Shadowz al posto del transfugo Animal dietro le pelli. Le foto del gruppo in abbigliamento Horror-cimiteriale fanno il giro del mondo – ovviamente circoscritte negli ambiti degli appassionati – e nel 1986 vede la luce il debutto …And The Dead Shall Rise, ristampato dalla sempre attenta Black Widow Records nel 2003. Le insanabili incompatibilità fra i quattro “squartatori” americani decretano la fine prematura del combo poco dopo ma nonostante questo Graves continua a scrivere del nuovo materiale per l’eventuale successore. Gli strani casi della vita portano il Nostro ad abbandonare il progetto per un po’ di anni fino a che nel 2006 il gruppo risorge ufficialmente dalle ceneri con una formazione che vede il solo Rob fra gli storici. Pare infatti che gli altri “vecchi” non avessero interesse a rientrare cosicché Graves chiama a sé tre nuovi adepti, comunque amici di antica data e già appartenenti, a vario titolo, al “giro” Ripper. La line-up si consolida quindi con Stephen Bogle alla seconda chitarra, Alan D’Angelo al basso e Don Ramirez alla batteria. The Dead Have Rizen viene registrato nel 2008 e concettualmente costituisce la continuazione del cammino musicale intrapreso con …And The Dead Shall Rise.

Sette anni di attesa ed è la volta di Third Witness, terzo capitolo ufficiale degli yankee, che presenta una formazione leggermente modificata rispetto al predecessore: accanto all’obbligatorio Rob Graves (Chitarra/Basso) c’è Rus Gib alla voce, le parti di batteria vengono divise fra Robert Bogle (Tracce 1-4) e Don Ramirez (5-8) mentre ai synth e all’effettistica troviamo Stephen Bogle. Come si evince da quanto scritto all’interno del booklet – di otto pagine, con tutti i testi e le foto dei vari componenti la band – Rob Graves, su suggerimento dell’etichetta Black Widow Records ha fornito una svolta maggiormente doom al progetto, andando a solleticare antichi pruriti Prog, seppur mantenendo il classico approccio Ripper.

Beh, visto il risultato finale, le indicazioni fornite dalla label ligure hanno prodotto il loro benefico effetto, a livello di songwriting: Third Witness è infatti il disco che tutti i fan dei Death SS si sarebbero aspettati nell’intorno fra Black Mass e Heavy Demons, anche se, idealmente, contestualizzato nel 2015. Ma c’è un ma… 

Il terzo Ripper è un concentrato di heavy fucking metal dalle tinte oscure – ma non troppo -, retto  su riff assassini e da una produzione degna, innervata da  aperture melodiche al posto giusto; un esempio su tutti, il refrain di Dead Dreams. Ottimo il connubio fra gli anni Settanta e il presente espresso in Fragrant Earth, irrobustito da chitarrone di marca Black Sabbath. Un incipit a la Dario Argento periodo Phenomena dà il La alla lamentosa Morphinia, il pezzo ossessivo del lotto, pressoché immancabile in qualsiasi disco di alto lignaggio di stampo Horror. Monumentali riff HM aprono Geneticide, brano dal vago sapore Savatage d’antan e una primitiva ascia, che pare tratta da In Death of Steve Sylvester, detta legge all’interno di Into the Realm, pezzo agrodolce dal pregevole refrain ad altro respiro; la stessa sorte deathesseesseiana si abbatte  nel brano successivo, Cryptonight. Heavy Metal diretto e veloce in Goin’ Green, intorbidito da cori ossianici di sottofondo, poi è la volta della cover Sabbath Bloody Sabbath dei Black Sabbath, impreziosita da Steve Sylvester alla voce, a sancire il netto salto di qualità rispetto al resto del pur pregevole lavoro. Proprio in questo pecca pesantemente Third Witness: avere un cantante onesto come Rus Gib dietro al microfono al posto di un purosangue come SS

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti 

 

 

 

ripper past

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