Recensione: This Is No Fairytale

Di Yuri Fronteddu - 4 Aprile 2015 - 9:30
This Is No Fairytale
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2015
Nazione:
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78

Cos’è successo all’idea di “liquefazione” umana della formazione olandese, che si avvertiva dalle ultime due uscite? Che la Season of Mist si sia messa davvero a tavolino, assieme alla band, redigendo un memoriale di tutto ciò che un album ai limiti della perfezione debba contenere? Ad ascoltare questo “This Is No Fairytale”, sembrerebbe sia andata proprio così! Questa volta, i Carach Angren scardinano i limiti della “musical beltà”, proponendo una sorta di elegante pièce de théâtre, che vede un Seregor più immerso del solito nella sua parte di cantore, accompagnato dai suoi musici-philosophes di fiducia.

“This Is No Fairytale” è strutturato come un concept. Si inizia con l’orchestrale “Once Upon a Time” a cui, forte del suo più raffinato istrionismo, segue il symphonic black di “There’s No Place Like Home”. Eh, già… “nessun posto che assomigli alla propria casa”, simbolo di una quasi sempiterna routine della quotidianità e descrizione che sembra l’opposto delle caratteristiche di quest’album fuori dal comune: sia per via del gruppo, sia in quanto in esso vi è un enorme superamento di passate sonorità “di prova” e, in un certo senso, insicure. I Carach tentano, dunque, di mettere in note una vera e propria rappresentazione teatrale del loro “manicomio interiore”, marcato da grottesca follia interiore, analisi avventate della propria anima ed immancabile paura traumatica, che li fa garanti dell’etichetta “horror black metal”. Atteggiamenti che, dal punto di vista letterario, potrebbero ricollegarsi benissimo all’illuminismo britannico – raggiungimento di “sovrumane” emozioni ancora intangibili e apparentemente irraggiungibili – ricordando, quasi, magnifiche prose e liriche keatsiane, se non passi del capolavoro di Mary Shelley, Frankenstein.
L’album sembra quasi dividersi in due filoni una volta arrivati alla quinta traccia, “Dreaming of a Nightmare in Eden”, dove il disco diventa ancora più teatrale ed “horror” e possiamo ascoltare un Seregor ancora più immerso nel suo personaggio, continuamente perseguitato dalla sua follia artistica, la quale raggiunge l’apogeo in “Possessed by a Craft of Witchery” (il titolo dice tutto!). Insomma, è un album che inizia e termina bene, con un finale ostinato, nonché targhetta di riconoscimento del titolo dell’album. “Questa non è una fiaba”, si potrebbe interpretare, ma un processo infinito di sfide contro il dolore, attraverso incontrollabili emozioni, che portano alla follia della propria anima.
Dal punto di vista tecnico, i Carach Angren, come sempre a partire dal loro secondo full-length, “Death Came Through a Phantom Ship”, procedono su un tranquillo symphonic black metal tecnico – come quello degli Shade Empire – e nemmeno troppo ardimentoso e artificioso, come potrebbe essere quello degli Arcturus, per esempio. Rispetto alle uscite precedenti si migliora la combinazione di elementi symphonic e black, facendo emergere di tanto in tanto qualche strumento a fiato dall’immancabile concerto d’archi, generati dalle tastiere. Inoltre, la struttura delle canzoni è varia e risulta tutt’altro che monotona.

Seregor e i suoi musici, questa volta, hanno cercato di creare qualcosa che risultasse poco elitario ed osando un tentativo di arrivo anche al tipico ascoltatore “criticone”, che d’abitudine asserisce che la troppa pesantezza delle tastiere sia dovuta al fatto che sia sempre onnipresente e rovinando l’aura black che, per definizione, dovrebbe essere senza tastiere. Impresa ardua, ma possibile in quest’occasione, che ancora una volta fa spirare venti propizi alla Season of Mist, da sempre composta di un rooster molto valido e promettente nel tempo.

Yuri Fronteddu

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