Recensione: This Might Hurt

Di Alberto Biffi - 15 Ottobre 2011 - 0:00
This Might Hurt
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Anno: 2011
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81

Se vi chiedessi cosa possa accomunare Steve Harris ad una “giovane promessa del rock inglese”, cosa rispondereste?
Ok, fuori dall’aula tutti coloro che hanno risposto “Lauren Harris” e lasciate sulla cattedra tutti le vostre toppe, spille e borchie! Stasera a letto senza rock!
La risposta corretta in questo caso è: The Treatment, band che giovane lo è davvero, inglese senza ombra di dubbio e rock’n’roll fino al midollo.

Registrato nei famigerati Barnyard Studios, di proprietà del mitico bassista degli Iron Maiden, prodotto da Laurie Mansworth e mixato da Tony Newton (Voodoo Six), ci arriva questo debutto intitolato “This Might Hurt”.
Nati nel 2008 per volontà di un allora quindicenne Dhani Mansworth (batteria) che raccoglie intorno a se Ben Brookland e Tagore Grey alle chitarre, Rick Newman al basso ed uno strepitoso singer che risponde al nome di Matt Jones (segnatevi il suo nome!), la band di giovani rockers non tarda a far proseliti e far parlare di se nel giro dei locali inglesi.
Cresciuti a forchettate di AC/DC, beveroni di Led Zeppelin e pinte di Mötley Crüe, il gruppo anglosassone è quanto di più classico ci poteva capitare in questo atipico ottobre, che alterna giornate piovose ad altre tipicamente estive, ma che hanno in comune sempre e comunque la nostra colonna sonora preferita, il rock!

“Departed”, il brano d’apertura di questo debutto, ci attacca con un mood decisamente punky e stradaiolo, con la voce di Matt a strillarci costantemente nelle orecchie (sicuri sia così giovane? Sembra avere corde vocali lacerate da abusi di ogni tipo, ed è un vero piacere sentirle vibrare!) ma sempre sotto controllo e terribilmente efficace.
“The Doctor” ha un andamento decisamente più “groovy” rispetto all’opener track, ma sempre e comunque diretta come un pugno nello stomaco, con un chorus accattivante e “furbo”.
“I Want Love” è la figlia bastarda e ribelle degli Aerosmith, con cori mutuati dalla band di Boston ed un lavoro di chitarre banale ma paradossalmente perfetto.
In “Just Tell Me Why”, Matt ci mostra con una scioltezza disarmante qual’è il suo potenziale vocale, tirando al massimo il suo range e sfruttando la sua ancora acerba (alla faccia!) espressività, in un brano che non ci lascia poi molto, se non una dimostrazione di forza del giovane screamer.

La settantiana “Lady Of The Light” ci mostra il lato più duro di questi giovani inglesi dalle pance ancora piatte, con un riffing sicuramente più sporco e massiccio rispetto ai precedenti brani.
Ottimo l’arrangiamento ed il solo, breve ma appropriato, mentre non andremo a sottolineare ulteriormente la lodevole prestazione di questo Bon Scott in erba (e non fate battute!).
Splendida “I Fear Nothing”, davvero a cavallo tra gli anni settanta ed i primi ottanta, con un riff che spinge a bersi una birra tutta d’un fiato, salvo poi staccare le labbra dalla bottiglia per cantare il ritornello tutti insieme, tra sudore e tatuaggi, fino al buon assolo con tanto di wha wha.
“Winter Sun” sembra una outtake dell’omonimo (e sottovalutatissimo) lavoro dei Mötley Crüe, con quell’aria solare, che fa quasi a pugni con la voce roca ed adulta di un Matt qui davvero figlio non riconosciuto di John Corabi.
“Shake The Mountain” è un notevole brano hard rock, roccioso nel suo incedere fino ad un chorus accattivante, sinceramente già sentito e quindi furbescamente stra-collaudato.

Dopo la “zeppelliniana” “I Will Be There”, veniamo accolti da un riffing in palm-muting molto heavy (anche qui stra-sentito) in un brano up-tempo che non ottiene a mio personalissimo avviso l’effetto sperato e desiderato.
Un inizio più inglese di una birra in pub, per il brano “Nothin To Lose”, che dopo l’incipit che ricorda non poco i Mott The Hopple, si affievolisce e “declassa” fino ad un piacevole e tranquillo brano rock.
Finale con il botto con la traccia nascosta “Stone Cold Love”, potenziale inno da cantare a squarciagola durante i prossimi concerti di questa promettente rock band.

Concludendo, per una volta possiamo asserire che il termine “giovane promessa” non è stata usata a casaccio.
Questi ragazzini scalmanati sono cresciuti con la “roba buona”, imparando le lezioni dei mostri sacri degli anni settanta e delle grandi band degli ottanta, miscelando gli Aerosmith con i Tesla, i Led Zeppelin con gli L.A. Guns, gli AC/DC con i Mötley Crüe ed ottenendo un risultato ovvio e scontato ma desiderato ed auspicato.

I nostri piccoli rockettari hanno scritto e consegnato sulla cattedra del rock un ottimo “compitino”, degno del miglior secchione della classe!
Promossi a pieni voti!

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Tracklist:

01 – Departed
02 – The Doctor
03 – I Want Love
04 – Just Tell Me Why
05 – Lady Of The Light
06 – I Fear Nothing
07 – Winter Sun
08 – Shake The Mountain
09 – I Will Be There
10 – The Coldest Place On Earth
11 – Nothing To Lose (But Our Minds)
12 – Stone Cold Love [hidden track]

Line Up:

Matt Jones – voce
Ben Brookland – chitarra
Tagore Grey – chitarra
Rick ‘Swoggle’ Newman – basso
Dhani Mansworth – batteria

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