Recensione: Threat Signal

Di Daniele D'Adamo - 7 Ottobre 2011 - 0:00
Threat Signal
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Anno: 2011
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77

È il momento della verità, per i Threat Signal.
 
Tradizionalmente, invero, il terzo full-length in carriera coincide con l’esternazione di tutto quello che ha dentro una band, seguito dal verdetto in merito alla quantità di chance che la stessa ha di sfondare sul mercato discografico internazionale. Dopo sette di carriera assai intensi, fra release, date live e cambiamenti di formazione, i canadesi affilano quindi le armi e danno alle stampe “Threat Signal”; album il cui titolo dimostra per primo la decisione che hanno Jon Howard e compagni d’imporre il marchio ‘Threat Signal’ sulla Terra.  

Rispetto ai lavori precedenti, “Threat Signal” spinge con decisione il piede sull’acceleratore della tecnica grazie all’innesto di Chris Feener (chitarra) e Alex Rudinger (batteria), capaci di irrobustire il sound della band spingendolo ai limiti del technical death metal. Se da un lato, poi, la fedeltà al cyber death non-umano dei Fear Factory non mostra tentennamenti, dall’altro emerge con forza l’ardore dei sentimenti più poetici. I massicci inserti di elettronica ambient incuneati fra le note del disco, difatti, aumentano di parecchio lo spessore emotivo della musica dei cinque nordamericani, tratteggiando un umore oscuro, misantropico, foriero di un futuro senza speranza per l’Umanità. Se questo può ingenerare il sospetto che i Nostri possano aver esagerato con la melodia, si può immediatamente sgombrare il campo dagli equivoci: “Threat Signal” è un platter duro, cattivo, violento; assai lontano dai voli pindarici di certo swedish death metal, per esempio. Al contrario, la veemenza messa in mostra da Howard nell’affrontare con decisione e aggressività le linee vocali è indicativa di una volontà ferrea d’aver scelto una delle strade più impervie, per raggiungere il successo.  

Successo che, per definizione, non potrà essere senz’altro quello del mainstream: la scrittura di Howard e Travis Montgomery è tutto fuorché elementare e orecchiabile, anzi. Le chitarre, sulla cui imponente tessitura si eleva il suono del complesso, svolgono un compito gravoso, cerebrale, pesantissimo. La meccanicità delle partiture ritmiche è impressionante, e a essa si unisce un’altrettanta pregnante tendenza all’arzigogolo tecnico, raramente di rapido apprendimento. All’obiettiva consistenza degli axe-man si unisce in coro Alex Rudinger, autore anch’egli di un’interpretazione computerizzata del suo strumento, indomito nel fabbricare un ritmo mai uguale a se stesso. Se a tutto questo si aggiunge la poliedricità di Howard, a suo agio in qualsiasi stile canoro del metal (clean, growl, scream…), il quadro complessivo che ne esce è davvero multicolore e di difficile discernimento. Difficile ma non impossibile: dopo numerosi ascolti, il CD inizia a svelare tutti i suoi più reconditi anfratti e, finalmente, le varie canzoni cominciano a diventare sempre più familiari, ognuna con la propria caratteristica identità; immerse in un plasma avvolgente che, in pratica, altri non è che il ‘Threat Signal-sound’.

Nemmeno il tempo di far partire le tracce, che “Uncensored” piomba come una mazzata in faccia. È questa, forse, la canzone che esemplifica meglio le commistioni stilistiche presenti in “Threat Signal”: clean vocals, screaming feroce, soli cristallini, blast beats, riff asettici e iper-compressi, incedere automatico. “Comatose” travolge con il suo ritmo sciolto, travolgente seppur non velocissimo, e il suo ritornello abbastanza melodico. Un mood introverso fa capolino in “New World Order”, brano dissonante, possente e dai BPM elevati, con qualche dolce armonia a rischiarare un cielo altrimenti plumbeo. “Trust In None” appesantisce immediatamente l’atmosfera con i suoi sulfurei arpeggi e soli che fanno da incipit a una composizione elaborata e sentita.
“Face The Day”, ed ecco l’hit. Dopo una prima metà granitica e riottosa, la melodia, solo qui, si fa travolgente e il chorus davvero irresistibile. Infatti, “Fallen Disciples” mostra nuovamente il lato più virile dei Threat Signal, segnato dalle micidiali tonalità delle accordature di chitarra, ribassate. L’headbanging si fa furioso nelle maglie della sincopata “Disposition”, giusto per quietarsi in occasione delle ossianiche battute di “Death Before Dishonor”. “Buried Alive” fa storia a sé, con il suo faticoso trascinarsi in un ipotetico deserto di sabbia nera e le allucinazioni di un isterico Howard. Una canzone che si allontana parecchio dall’usuale stile del combo di Hamilton e che, a parere di chi vi scrive, potrebbe rappresentare la direzione artistica futura per compiere, invero, il decisivo salto di qualità in avanti.

Nonostante tutti gli evidenti sforzi profusi, infatti, i Threat Signal appaiono ancora un po’ troppo legati alla proposta musicale di Burton C. Bell e soci. Beninteso, il talento e la qualità tecnica ci sono, e pure in abbondanza, così come la capacità di scrivere buone canzoni. Manca, forse, una piccola dose di coraggio in più…         

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. Uncensored 3:13         
2. Comatose 3:29         
3. New World Order 5:49         
4. Trust In None 6:14         
5. Face The Day 4:17         
6. Fallen Disciples 4:54         
7. Disposition 5:39         
8. Death Before Dishonor 4:55         
9. Buried Alive 6:13

Durata 44 min.

Formazione:
Jon Howard – Voce
Travis Montgomery – Chitarra
Chris Feener – Chitarra
Pat Kavanagh – Basso
Alex Rudinger – Batteria
 

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