Recensione: Through The Flesh To The Soul

Di Matteo Bovio - 1 Novembre 2003 - 0:00
Through The Flesh To The Soul
Band: Invocator
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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55

So bene che la mia opinione su questa nuova uscita Scarlet potrebbe essere piuttosto discutibile; eppure, anche con tutta la buona volontà di questo mondo, ho trovato impossibile ricavare un giudizio che fosse di sufficienza per un album così privo di originalità. Se consideriamo gli ultimi anni, dobbiamo per forza tener conto dello sviluppo di alcuni trend all’interno di quello che dovrebbe essere il settore più estremo del metal: gli Invocator si pongono a metà strada fra l’abusato filone thrash-death (dal quale a dir la verità raccolgono non molto) e una sorta di thrashcore parecchio “ruffiano”.

Sfruttando un suono impressionante e un’esecuzione molto buona, costruiscono di fatto una serie di aspettative che cadono miseramente col succedersi dei primi ascolti. Abusando dei classici riff stoppati, portano avanti lo stesso, ripetitivo discorso per la bellezza di 10 canzoni (più intro) tutte di durata più che discreta. Ad un cantato che personalmente trovo insopportabile (di stampo chiaramente thrash, ma che sembra sempre voglia essere “potente ma con moderazione”…) si alternano a volte dei cori o dei vocalizzi di accompagnamento che danno il colpo di grazia… forse un tentativo (fallito) di sopperire a quella mancanza di originalità che trovo sempre più palese ad ogni ascolto.

Si sa d’altro canto che, soprattutto in certi ambiti, l’originalità non è tutto. Purtroppo anche sotto gli altri aspetti non è che ci sia da fare i salti di gioia. La title-track ci regala un buon inizio, un lungo “proemio” musicale che poi sfocia nella canzone vera e propria; ma questo è tutto quanto lascia impresso, prima di andarsi a collocare con stabilità in quella fascia di produzioni mediocri. Così come, in fondo, tutte le altre tracce; sbagliato il calcolo del gruppo poi di puntare su strutture così lunghe, cosa che non li aiuta certo a recuperare l’attenzione dell’ascoltatore, e al contrario li vincola a quelle scappatoie che ho trovato del tutto fuori luogo.

Non è tutto da buttare, visto che alcune tracce hanno saputo scaldarmi un attimino di più (la prima che mi viene in mente è “Click On It”, banalotta ma perlomeno accattivante). Ma pubblicare un simile prodotto mi sembra veramente un tentativo di cavalcare l’onda di un trend… in tale direzione si può costruire veramente poco, e comunque non nello stile in cui Through The Flesh To The Soul è stato costruito. Non con la presunta violenza che, di fatto, è frutto al 90% della produzione; non con lo stemperare di continuo questa violenza con scopi che sinceramente non riesco a definire rimanendo sul piano strettamente musicale…

Personalmente, considero questo un lavoro “quasi sufficiente” se devo parlarne in termini critici e distaccati, da rivedere completamente invece se devo pormi su un piano molto più soggettivo. Peccato che dei buoni musicisti, dotati anche di buone capacità di songwriting (le canzoni, lo ricordo, sono piuttosto complesse in quanto a struttura, e in alcuni punti piuttosto eterogenee) debbano sprecare, e lo dico senza mezzi termini, le proprie capacità in ricerca di qualcosa che sembra fin troppo palesemente volto ad essere appetibile prima che bello nel senso pieno del termine. Spero di sbagliarmi e di sentire nel futuro qualcosa di stampo Invocator che possa smentire le mie impressioni.
Matteo Bovio

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