Recensione: Through the Looking Glass

Di Stefano Usardi - 30 Dicembre 2016 - 10:37
Through the Looking Glass
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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72

Bella sorpresa questi Final Solution, gruppo di Brescia nato nel 2011 che, dopo qualche cambio di formazione e una lunga serie di concerti dal vivo, esordisce sul mercato con questo “Through the Looking Glass”. I nostri, partiti proponendo pezzi di death melodico di stampo svedese, hanno via via modificato il proprio DNA in favore di una formula più variegata ma che mantiene intatta la sua carica furibonda, arrivando all’esordio discografico forti di un heavy metal d’assalto ma che non si lascia mai andare all’inutile esibizione di forza bruta. È proprio il sapiente dosaggio tra la melodia portante e le robuste sfuriate che la avvolgono a rendere appetitoso questo “Through the Looking Glass”, concettualmente inquadrabile come un excursus tra le emozioni umane in lotta tra loro e in costante bilico tra le tentazioni quotidiane e i traguardi che ognuno di noi si pone per arrivare a fine giornata e dirsi fiero di ciò che vede riflesso nel proprio specchio.

Dopo l’intro d’ordinanza (eseguita, come del resto anche l’altra breve strumentale dell’album, da Simone Solla degli Embryo) si parte a spron battuto con “Sick of You”, traccia adrenalinica in cui fin da subito i nostri baldi ragazzoni mostrano di che pasta sono fatti: ritmiche furenti e chitarre cattive sorreggono il cantato di Mario, in grado di spaziare da un approccio più narrativo ed accattivante ad autentiche urla isteriche. Bella partenza. “Demons Inside” segue le stesse coordinate della traccia precedente, con lo sfrenato Gianluca a dettare i tempi dietro le pelli, ma diversamente dalla frenetica opener qui si nota una maggiore alternanza tra la carica adrenalinica che permea il brano e le vigorose iniezioni di melodia che, complice anche un approccio vocale meno irruento, fanno capolino di tanto in tanto, soprattutto durante il ritornello. “Empty Walls”, per parte sua, sembra continuare imperterrita lungo il sentiero dello stentoreo martellamento sonoro, ma le brevi ed improvvise reminiscenze del passato melodic death del gruppo (che riaffiora soprattutto durante i repentini squarci melodici) contribuiscono a donare una maggiore profondità alla proposta del quintetto lombardo, screziandone l’iniziale violenza con fraseggi  più avvolgenti e suggestivi.
The Show is On” rallenta di poco i ritmi per consentire a Mauro un approccio più maligno, aprendosi con un riff misurato ma sempre sostenuto da una sezione ritmica pulsante e rocciosa. La traccia si mantiene su buoni livelli per tutta la sua durata ma, forse a causa del suo tono meno arrembante rispetto a quelle che l’hanno preceduta, fatica a decollare, concedendosi qualche impennata solo durante l’incursione strumentale che avvolge l’assolo ed il finale più solenne. Dopo il breve ma, seppur molto atmosferico, superfluo intermezzo strumentale di “(R)Evolution”, i nostri tornano alla carica con “Dogs of War”, introdotta da un riff insistito e coatto che lascia presagire fuochi d’artificio. La canzone gioca tra cambi di tempo e di atmosfera, pur mantenendo sempre il giusto tiro e un perfetto bilanciamento tra melodia e testosterone. Il cambio di registro a metà del brano, con il conseguente intermezzo melodico più compassato, introduce un assolo solenne e sentito prima di tornare di gran carriera nel magico mondo dell’headbanging sfrenato ed ignorante, mentre nel finale si torna a sentire il profumo nostalgico di certo death melodico.
Il compito di chiudere le danze è affidato a “Grey”, in cui alla solita aggressività compressa dei nostri si affianca un respiro più dilatato, soprattutto nel ritornello; anche qui l’ottimo assolo ricorda in un certo qual modo il passato del gruppo, mentre nella seconda parte del brano torna in cattedra Gianluca che, dal suo posto di manovra dietro le pelli e sorretto dal resto della brigata, guida la carica per un ultimo assalto ed un finale giustamente pomposo e aggressivo. Ottimo, direi.

Tirando le somme mi permetto di affermare che questi ragazzi abbiano confezionato un ottimo esordio, solido e roccioso, in cui (pur senza inventare nulla) mostrano senza paura ciò di cui sono capaci, consapevoli dei propri mezzi e forti di una proposta che metterà a dura prova più di una colonna vertebrale. Brài gnari!

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