Recensione: Thunderbolt Special Tour Edition

Di Stefano Ricetti - 28 Agosto 2018 - 12:30
Thunderbolt Special Tour Edition
Band: Saxon
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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75

Per fronteggiare l’intensa domanda, i Saxon e il loro entourage, sono stati “costretti” a licenziare una nuova versione della loro ultima fatica discografica, “Thunderbolt”, che vedrà la luce nei negozi il prossimo 7 settembre. Per l’occasione, ad accompagnare il titolo dell’album uscito a febbraio, è stato aggiunto il suffisso “Special Tour Edition”.

Cosa differenzia quest’ultima issue rispetto a quella originaria di inizio anno?

La presenza di “ben” due pezzi dal vivo, facenti parte del disco in studio, tratti da altrettanti concerti 2018 appartenenti al “Thunderbolt World Tour”. Più specificamente il primo, afferente il pezzo “Thunderbolt”, catturato ad uno show a Francoforte di marzo e il secondo, “Nosferatu (The Vampire’s Waltz)” a Los Angeles in aprile. Entrambi di buona fattura a livello di suoni e conseguente “botta”, evidentemente non pescati a caso nel mazzo della ridda di quelli disponibili, men che meno taroccati in studio, danno l’idea di quanto sappiano essere ancora penetranti gli inglesi alive. A proposito di concerti dal vivo: appuntamento, borchie al cielo, per venerdì 5 ottobre 2018 in quel del Live Club di Trezzo sull’Adda (MI). Ma non è finita qua: oltre a quanto sopra menzionato, la versione in Cd contiene anche un poster che raffigura la band in tour attraverso alcuni scatti fotografici.

Al di là del valore effettivo di un lavoro di questa tipologia, che a naso potrebbe senza dubbio alcuno intrippare i completisti accaniti del combo dello Yorkshire, fa sempre piacere, su queste pagine web a sfondo nero, occuparsi dei defenderoni britannici che, in un passato remoto – anche per innegabili colpe loro – sono stati snobbati più e più volte dall’intellighenzia metallica mondiale, a favore di band con più appeal o anche solo più forza commerciale…

Thunderbolt” rappresenta il ventiduesimo album in studio ufficiale di una carriera che prende vita negli anni Settanta, quando in giro, a pestare duro, c’erano i soli Judas Priest e Motorhead, lassù, nella terra d’Albione. I Saxon incarnarono pressoché sin da subito lo status di working class band e le stimmate di taluni hungry years patiti se le tirano dietro ancora adesso, fortunatamente, al netto delle ubriacature sanremesi e yankee consumate in vari periodi degli anni Ottanta, successive al momento d’oro del trittico Wheels/Strong/Denim. Da “Solid Ball Of Rock” in poi la sbornia tutta paillette e pose plastiche made in Usa è per carità di patria rientrata e gli Stallions, sebbene orfani di alcuni personaggi chiave di inizio milizia hanno re-iniziato a pestare feroce e potente e non hanno più mollato sino ai giorni nostri, fra gli Osanna dei die hard fan dell’Acciaio più tradizionale e tradizionalista.   

Un disco, quest’ultimo, che fra luci e ombre, sa comunque emozionare a sprazzi, nel solco del tremendismo del passato, sulla spinta di autentici pezzi killer quali “They Played Rock and Roll”. Come scritto a commento della recensione dell’amico e collega Andrea Bacigalupo, “Un eccezionale brano tributo a Lemmy e ai suoi Motorhead da parte della band più legittimata a farlo del pianeta!”. I Saxon fanno i Motorhead senza ma e senza se, sferraglianti e rapidi nell’esecuzione come da manuale dell’headbanging e a un certo punto fa capolino l’inconfondibile voce di Lem a sublimare il tutto. Ulteriori parole paiono, per davvero, superflue, per descrivere la vetta incontrastata di “Thunderbolt”…

Il resto dell’album si dimena fra tracce in your fucking face come è lecito e doveroso aspettarsi dalla premiata ditta Byford, Quinn & Co. fra le quali spicca la title track, tronfia di Metallo che è un piacere seguita a wheel da “Predator”, imbarbarita da Johan Hegg degli Amon Amarth ed episodi trascurabili della portata di “A Wizard’s Tale” e “Sniper”. Nelle intenzioni, il Sassone ha volutamente puntato alle proprie radici, a quel fottuto suono primi anni Ottanta che fece sfracelli, attualizzandolo il giusto per non risultare  fuori tempo massimo, continuando a puntare su di un produttore comprovato quale Andy Sneap (Judas Priest, Megadeth, Accept e Testament) già all’opera su “Battering Ram” del 2015. Nel segno della continuità anche colui il quale ha curato la copertina: Paul Raymond Gregory, quello di “Crusader” del 1984.

Thunderbolt”, a conti fatti, è lavoro dignitoso e null’altro: un disco al quale mancano quelle marce in più che, ad esempio, hanno saputo infondere i vecchi compagni di avventure siderurgiche Judas Priest nel loro ultimo “Firepower”. Per tornare lassù in cima, ma prorio in cima, ai Saxon, molto probabilmente, invece di licenziare un album “Si, bello ma…“ ogni due/tre anni, converrebbe sfornare un prodotto con due colleoni così prendendosi TUTTO il tempo necessario, a questo punto, visto che hanno ampie potenzialità e i titoli per poterlo fare…

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

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