Recensione: Thy Kingdom Come

Di Filippo Benedetto - 28 Giugno 2004 - 0:00
Thy Kingdom Come
Band: Doomshine
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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78

I membri dei Doomshine si conoscono nel lontano 1990. Secondo quanto riportato nella breve biografia del combo, per “inspiegabili ragioni” la band non suonò insieme fino alla fine dell’estate 2000. Markus, Sven Podgurski (guitar), Sascha (vocals)  e Carsten Fisch (bass), fecerò la loro prima esibizione “on stage” sotto il moniker “Sleep with the devil” proprio in questo periodo a Marbach, in germania. Poco dopo il vocalist Sascha venne sostituito da Timmy Holz, proprio mentre lo stile e la personalità musicale dei Doomshine (nuovo moniker della band) stavano prendendo forma in nuove songs. La musica del combo già presentava i contorni “heavy, slow and melodic”, come viene riportato nella bio del gruppo. La prima prova sul palco per i Doomshine, stabilmente assestati nella line up, avvenne nel marzo 2002 a Rockfabrik Ludwigsburg. Dopo questo concerto la band ebbe l’opportunità, grazie a Jachen Fopp (Mirror of Deception) di partecipare al biling del primo Doom-Festival Europeo, il leggendario Doom Shall Rise del febbraio 2003. Dopo queste buone affermazioni “live”, la band ebbe modo di registrare due songs, “Shine on Sad Angel” e “Where nothing hurts but Solitude” (brani che entrarono a far parte del loro primo EP; la prima song entrò nella tracklisting della compilation “Metal Crusade V”). Dopo un fortunato concerto tenutosi nel marzo 2003 insieme a Seven of Nine e Irony e dopo aver firmato un contratto con la Glory Records, il gruppo ebbe la possibilità di incidere il proprio debut album intitolato “Thy Kingdom Come”.

Quest’album, oggetto qui di recensione, si qualifica innanzitutto per atmosfere cupe, malinconiche, non prive di curati passaggi melodici di sicuro effetto in pieno stile Doom-Metal e seguendo un collaudato filone musicale tracciato da bands come Candlemass e Solitude Aeternus. Già dalla prima track, “Where nothing hurts but solitude”,  si nota lo sforzo di inquadrare il proprio sound lungo queste direttrici maestre non tralasciando pregevoli accorgimenti in sede di arrangiamento. Ogni strumento arricchisce di “pathos” espressivo un affresco sonoro molto caldo, merito soprattutto di un compatto lavoro in sede di riffing. Le vocals colgono molto bene lo spirito “doom” del brano. Interessante è il risultato finale, un lavoro preciso nei suoni, risaltando tonalità abrasive (ascoltate l’assolo soprattutto!) che donano lustro ad una composizione  tra le migliori del platter. Prosegue sulla stessa linea la successiva “Venus Day”, brano giocato su due livelli di intensità d’atmosfere: una più d’impatto, costruita su chitarre più dissonanti e rabbiose, l’altra di più melodico impatto… merito di un morbido arpeggio che non può non catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Le vocals anche in questo episodio si calano molto bene nell’oscuro incedere del pezzo, lasciando però che siano gli altri strumenti a svolgere il ruolo di principale attore nel guidare l’ascoltatore nell’immaginario del gruppo. Molto suggestiva l’apertura della terza traccia, Light a candle for me”, suadente e delicata sia per quanto riguarda la parte vocale che per quanto concerne le chitarre. Il brano subirà poi una decisa virata verso ritmiche più cadenzate e pesanti, sulle quali si stenderà un riffing potente e serrato. Non molto distante, come concetto d’insieme, il quarto capitolo del disco intitolato “Creation”. Il riffing qui si fa decisamente più sofferto e le ritmiche sottolineano pesantemente  questo incedere lento dipingendo un affresco sonoro quasi “opprimente”. “Sleep with the devil” attenua leggermente l’atmosfera cupa, mantenendo però forte l’impatto doom del riffing. Le vocals qui tornano a giocare un ruolo importante nel costruire linee melodiche dure e compatte. Molto ben inserita la dinamica accelerazione delle ritmiche a tre quarti del pezzo, che fornisce un opportuno snellimento del sound pesante e oppressivo del brano stesso. La seguente “Shine on sad angel” viene introdotta da un quasi sussurrato fraseggio chitarristico che poi lascerà spazio ad un accentuato appesantimento dello stesso tema. Il tutto viene sviluppato lungo linee melodiche quanto mai dissonanti. Si nota unaa particolare cura negli arrangiamenti in questo pezzo, che riescono a risaltare bene, nel refrain, il pathos malinconico della traccia. “A room without view” trova il proprio punto di forza in un riffing ipnotico e a tratti ossessivo, sostenuto da un drumming sempre votato a tempi medi ma più dinamico. Il tutto trova sbocco, in un discreto equilibrio con il tema preponderante precedentemente accennato,  nell’apertura melodica del refrain. Degna di nota la parte solistica che dona pregevolezza al tutto. La penultima “The Cross” si rivela una song “minacciosa” nel riffing, inframmezzato da più morbidi e rilassanti arpeggi semiacustici. Ma forse l’eccessiva pesantezza delle ritmiche qui davvero troppo lente, risultano di difficile “digestione” lasciando all’ascoltatore  l’indecisione se continuarne o meno l’ascolto. Chiude in bellezza il disco la suggestiva e accattivante “Valiant Child of War”, pezzo che sicuramente non potrà non catturare l’apprezzamento dell’ascoltatore per linee melodiche armoniose, sognanti ma sempre e immancabilmente avvolte da un alone di cupezza.

 

Concludendo ritengo i Doomshine una felice sorpresa nel panorama Doom-Metal, credo che questi ragazzi riusciranno a conquistarvi con melodie cupe, a tratti sognanti supportate da una indubbia capacità tecnico strumentale. Se amate i Candlemass e avete voglia di ascoltare un gruppo capace di riprodurre, magari approfondendole, certe atmosfere allora questo lavoro non potrà non conquistare i vostri apprezzamenti.

Tracklist:

1. Where nothing hurts but Solitude
2. Venus Day
3. Light a Candle for me
4. Creation
5. Sleep with the Devil
6. Shine on Sad Angel
7. A Room without View
8. The Cross
9. Valian Child of War

Line Up:

Tim Holtz: Vocals and guitar
Sven Podgusrski: Guitar
Carsten Fisch: Bass
Markus Schlaps: Drums

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