Recensione: Thy Will Be Done on Earth as Is Done in Hell

Di Emanuele Calderone - 17 Ottobre 2010 - 0:00
Thy Will Be Done on Earth as Is Done in Hell
Band: Artep
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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65

Originari del Canada, gli Artep sono una band dedita ad un black metal ricco di venature melodiche.

Il gruppo nasce nel 1996 a Vancouver dalla mente della chitarrista/tastierista Artep, al fianco della quale troviamo Vultyrous alla chitarra solista e alla voce, Tarot al basso e Maelstrom alla batteria.
Il quartetto giunge al traguardo del tanto agognato primo album nel 2010, con “Thy Will Be Done on Earth as Is Done in Hell”. Il disco viene alla luce a due anni di distanza dal precedente Ep “Black War” e prosegue sul percorso battuto in precedenza dal combo.
Musicalmente ci si trova al cospetto di un lavoro di stampo black piuttosto canonico e classico, sporcato da gradevoli aperture melodiche che riportano -vagamente- alla mente alcuni lavori dei francesi Anorexia Nervosa.
Composto da otto brani, per una durata complessiva di poco superiore ai quaranta primi, questo “Thy Will Be Done on Earth as Is Done in Hell” si lascia ascoltare con discreto piacere, grazie ad un song-writing che, pur non brillando per originalità, risulta il più delle volte sufficientemente dinamico e interessante.
I pezzi appaiono strutturalmente piuttosto lineari e di facile assimilazione, privi di tecnicismi inutili all’economia dell’album. Chitarre, basso e batteria cooperano, conferendo la giusta compattezza e aggressività alle canzoni. Ad essi si accosta la voce di Vultyrous, uno scream piuttosto acido e corrosivo, non troppo personale ma abbastanza espressivo.
A spiccare fra le dieci track che compongono il full-length, sono sicuramente la bella “Eruption”, “Black War” e la conclusiva “Eye of the Serpent/Oko Hada”. I tre brani si distinguono per una maggiore qualità generale e per un approccio più fresco e vario, che le rende più coinvolgenti.
Specialmente in “Black War” convincono le orchestrazioni che si affiancano alla base black creata dai canadesi in maniera particolarmente armoniosa. L’incedere maestoso e in alcune parti quasi pachidermico accresce il pathos, rendendo la canzone il miglior episodio dell’intero disco.
Il resto delle song si muove invece su percorsi decisamente più classici e pur senza scadere nel banale, non sempre riesce a cogliere l’attenzione. Nella fattispecie sono pezzi quali “Antichrist” o ancora “Armageddon” che non presentano spunti di notevole interesse, abbassando così la media generale dell’album.
La prestazione della band si attesta su livelli generali discreti. Petra e Vultyrous alle chitarre svolgono un buon lavoro, risultando sempre precisi e puntuali: il guitar work è il più delle volte interessante ed azzeccato. Diverso è invece il discorso per la sessione ritmica: il compito pur se svolto con sufficente perizia, non sempre convince a causa di una generale ripetitività.
Ulteriore critica va mossa nei confronti della voce, spesso affogata da filtri ed effetti che influiscono negativamente sulla valutazione finale della prova di Vultyrous.

Siamo dunque di fronte ad un full-length che non inventa nulla, ma che grazie ad un manciata di buoni episodi si lascia ascoltare con adeguato interesse, pur senza raggiungere i livelli qualitativi dei maestri del genere.
Se volete un disco classico e ancorato agli stilemi tipici del genere fatelo anche vostro, se invece siete alla ricerca di qualcosa di più raffinato ed evoluto passate tranquillamente oltre.

Emanuele Calderone

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Tracklist:
01- Birth of the Antichrist
02- Antichrist
03- Eruption
04- Desolate Land
05- Crossing the Acheron
06- Armageddon
07- Black War
08- Eye of the Serpent/Oko Hada

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