Recensione: Tierra de libertad

Di Beppe Diana - 21 Aprile 2002 - 0:00
Tierra de libertad
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Anno: 2001
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90

Dopo il come back discografico degli Avalanch, andiamo alla scoperta dei Medina Azahara, una band che rappresenta una grande scoperta per il sottoscritto, da sempre amante della scena hard’n’heavy spagnola. Inizio innanzitutto col dire che il quartetto in questione, è uno degli acts più longevi che la scena iberica abbia mai avuto, pensate che il loro primo album omonimo risale addirittura al 1979, e che in ventuno anni di onorata carriera, i nostri hanno inanellato un’insieme di successi che li hanno più volte portati in vetta alla classifiche di vendita nazionale, grazie soprattutto al gran seguito di fedeli fan che da sempre li seguono con vivo interesse, tanto che il paragone con i nostri vecchi Litfiba,, non mi sembra poi così azzardato.

Ma a confronto della band fiorentina, la musica dei Medina Azahara in questi anni non ha subito tanti bruschi stravolgimenti, restando aggrappata ad un sottile filo conduttore che lega saldamente l’hard rock anni settanta dei Deep Purple e degli Urriah Heep soprattutto, alla musica latina nonché a quella mediorientale, una miscela sonora davvero esplosiva resa ancor più intrigante dalle splendide potenzialità espressive del vocalist, nonché leader storico della band, Manuel Martinez che con il suo particolare modo di cantare, a metà strada fra un cantastorie ed un artista gitano da strada, non fa altro che aumentare le potenzialità in possesso dalla band. “Tierra de libertad” è, escludendo singoli e raccolte, il quindicesimo album della lunga storia discografica della band, e per quello che sono riuscito ad evincere dalla loro biografia, anche il più elaborato, pensate solo che fra gestazione e registrazione, ci sono voluti ben tre mesi prima che l’album in questione vedesse la luce.

Ma alla fine, tanta attesa non è stata per niente vana, anzi penso proprio che i dodici brani che compongono l’album posseggono un fascino e una magia tali che si riescono quasi a palpare. L’album ruota attorno ad un concept sulle speranze, i sogni e lo scontro contro la dura realtà, sentimenti che solo chi è un emigrante può sapere cosa siano, e la salvezza, rappresentata da una spiaggia, che è il trait d’union con la terra della libertà per lui, la vita di ogni giorno per noi. E in questo alternarsi di emozioni e sensazioni, la band da sfoggio di tutte le proprie capacità tecnico/compositive nonché comunicative, tanto che, anche capendo poco lo spagnolo, a volte risulta davvero difficile trattenere le lacrime, giuro. Sto parlando di singoli episodi come “Asì es Madrid”, “Igual che ayer” ma soprattutto “Un hombre feliz”, un brano dotato di un senso poetico direi unico, una ballad che colpisce al cuore come un fendente e che si snoda fra delicati intrecci sinfonici dominati da una superba prestazione del vocalist che regala emozioni lungo lo scorrere dei sei minuti di durata della song. Ma i Medina Azahara sono anche capaci di comporre delle ottime hard rock song, come nel caso della title track, o della stupenda “Mora”, song caratterizzata da fraseggi arabeggianti che richiamano addirittura il Battiato di “L’era del cinghiale bianco”. Potrei stare a parlare dei sentimenti scaturiti dall’ascolto di questo capolavoro per ore, ma bastano poche parole per convincervi: “accàttateville” Sofia Loren docet.

Beppe “HM” Diana

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