Recensione: Till Fjälls

Di Daniele Balestrieri - 25 Maggio 2004 - 0:00
Till Fjälls
Band: Vintersorg
Etichetta:
Genere:
Anno: 1998
Nazione:
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91

È un Vintersorg baciato dall’ispirazione più pura quello che ritroviamo tra i fittissimi solchi di questo CD. Al galoppo in pieno periodo folk, l’eclettico artista svedese non riesce a darsi pace e prosegue sbrigliato nel regalare al mondo album di una potenza, delicatezza ed epicità davvero fuori norma, tanto che prima di lui e dopo di lui sarà ben difficile trovare lavori dello stesso tipo di questa classe. Sfornato poco tempo prima l’eccellente Älvefärd mediante i suoi Otyg, Vintersorg decide di dare finalmente forma e soffio vitale alla sua one-man band dopo l’ottimo demo, e prepara durante tutto il corso del 1997 e la prima parte del 1998 questo “Till Fjälls” (=verso le montagne), visionaria opera naturalistica che concluderà il suo corso con l’altrettanto ispirato “Ödemarkens Son” (=figlio dell’Ödemark), dopo nemmeno un anno. Una delle cose che colpiscono di più della sua vena artistica di quegli anni è senza dubbio la grande velocità con cui è riuscito a generare una serie di album di altissimo livello, e l’altrettanta velocità con cui, dopo la release di Ödemarkens Son, ha gettato tutto alle ortiche dandosi al metal “spaziale” e sperimentale. Innegabile è sicuramente la sua ecletticità, ma altrettanto innegabile è la difficoltà degli ascolti che ci presenterà di anno in anno, fino a sfiorare l’inascoltabilità nel nuovo “The Focusing Blur“. Sarà interessante assistere all’ennesimo approdo di una mente tanto geniale, ma altrettanto interessante sarà conoscere questo Till Fjälls, tutto sommato considerabile suo album di debutto nel mondo del mainstream.

Orgoglioso delle proprie radici svedesi, Vintersorg non nasconde l’elitarietà del prodotto appena creato: titolo in svedese, testi interamente in svedese, citazioni da musicisti svedesi, guest svedesi e foto nel booklet che ritraggono maestosi paesaggi montani del fianco destro dello scudo baltico, la catena montuosa che percorre come una spina dorsale la Scandinavia e ne suddivide i due paesi più occidentali. E proprio la montagna e le sue leggende rappresentano il tema portante dell’album. Si parte con una piccola ballata, “Rundans“, che pone immediatamente l’accento – grazie alla sua semplicità – sulla voce calda, profonda e baritonale di Vintersorg – soprannominato da qualche buontempone il “Piero Pelù” svedese. Dopo la breve intro, in un melodioso e limpido svedese, scandita da stumenti a fiato, timpani e chitarra acustica, l’album entra immediatamente nel vivo con “För Kung och Fosterland“, che aggredisce con una sferzata di batteria martellante, chitarre black e scream selvaggio: quasi un altro mondo, e non c’è tecnica migliore per introdurre le selvagge tempeste di ghiaccio che imperversano sulle cime delle montagne svedesi. Tutto questo boato strumentale viene però presto imbrigliato da melodie più heavy, che nascondono spesso e volentieri i brevi, furiosi stacchi black e ne estrapolano il lato più folk, più intimo e genuino, come la geniale citazione a “Hall of the Mountain King” di Edward Grieg, facilmente riconoscibile a metà canzone. Si procede con la cadenzata “Vildmarkens Förtrollande Stämmor“, un’elegia del rincorrersi dei giorni con delle eccellenti parti di tastiera e di basso martellante, un’ottima canzone heavy-folk con notevoli assoli e un gran finale corale, che introduce con sapiente continuità scenica “Till Fjälls“, la title track, e una delle prove migliori dell’album, iniziata e accompagnata da un pianoforte ritmico di gran prestigio, e graziata da un riff estremamente catchy che induce al canticchiare dopo appena il primo ascolto. Le chitarre si induriscono e si complicano in “Urberget, Äldst Av Troner“, canzone leggermente più lenta in cui Vintersorg si impettisce ulteriormente e racconta con grande poesia le vallate che solcano le torreggianti montagne svedesi, senza lesinare parti in screaming black che interrompono la melodia heavy/folk e ne velocizzano l’andamento. Torna il pianoforte nella preoccupante, malinconica “Hednad I Ulvermånens Tecken“, dove alla purezza dei grandi scenari naturali Vintersorg contrappone l’animo sincero degli antichi pagani abitanti della sua terra, il cui cuore vibra come i profondi cori che impreziosiscono questa solitaria prova introspettiva, che sfocia nella violenta “Jökeln“, che getta l’ascoltatore nell’ennesimo turbinare di batterie, mentre uno screaming pressante parla e mormora strofa su strofa senza apparente sosta. Sosta che giunge immancabilmente in una parte recitata, sormontata da un coro baritonale di gusto Bathoriano, che infine sfocia in un assolo ripetitivo, che conclude la traccia e apre la prima canzone della eccezionale trilogia finale, “Isjungfrun“. E proprio dal “frun” del titolo (=ragazza) si può attendere la prima novità dell’album: una ispiratissima Cia Hedmark (co-cantante e violinista degli Otyg) canterà in coppia con Vintersorg un eccellente duetto folk, drammatico, misterioso, che scorre all’interno di mura di riff cadenzati, orecchiabili e di grande gusto compositivo. Mai troppo lodata sarà la seguente “Asatider“, mia traccia preferita in assoluto e una delle canzoni più belle del panorama black/folk Vintersorghiano. Urla di un popolo in fuga, di donne piangenti, di navi che si schiantano sulle coste aprono una canzone in cui Vintersorg si trova solitario su una rupe a descrivere con perizia agghiacciante una battaglia costale, con strofe che per musicalità e ritmo rasentano la perfezione musicale, mentre dei riff rabbrividenti abbracciano questa piccola opera di quattro minuti in cui l’artista pronuncerà persino il suo nome, prima di piombare nuovamente nell’orrore della battaglia incombente. Eccellente climax dell’album che infine si getterà spossato nella conclusiva “Fångad Utav Nordens Själ” – lenta, oscura, impreziosita da un’ottima sezione ritmica, questa traccia gode della seconda intromissione di Cia Hedmark che con la sua voce delicata trascina l’intirizzito ascoltatore dalle scoscese montagne alle più delicate pianure in riva al mare. Catarsi di ottimo effetto, esattamente come la conclusiva “På Landet” di Ödemarkens Son.

Probabilmente Till Fjälls è l’album più conosciuto della quadrilogia folk di Vintersorg, e probabilmente è il più apprezzato. Non vanta la ricercatezza strumentale degli Otyg, e nemmeno l’introspezione di Ödemarkens Son. I due album folk di Vintersorg sono decisamente più metallici, e per questo più diretti e meno fronzolosi. Tuttavia, la critica e il pubblico hanno mostrato all’unisono un entusiasmo non indifferente nei confronti di quest’album, entusiasmo che mi sento di condividere pienamente. È stato il mio primo album di Vintersorg e mi ha colpito profondamente, tanto da farmi imparare “Asatider” a memoria, pur non essendo cantato nella mia lingua nativa e non capendone granché del testo. Un qualcosa che fa sicuramente riflettere. Non è esattamente un album metal canonico, e non è un album folk puro. Le somme mostrano un eccellente ibrido, che contrappone l’aggressività del black metal al rigore dell’heavy, e il folk più possente a parti scorrevoli, dolci ed eteree. Il tutto, naturalmente, in pieno stile Vintersorg, un marchio di fabbrica ormai annoverato tra le sfere più importanti del metal scandinavo.

TRACKLIST:

1. Rundans 1:30
2. För Kung Och Fosterland 3:47
3. Vildmarkens Förtrollande Stämmor 4:09
4. Till Fjälls 6:42
5. Urberget, Äldst Av Troner 5:03
6. Hednad I Ulvermånens Tecken 2:23
7. Jökeln 3:26
8. Isjungfrun 4:43
9. Asatider 3:55
10. Fångad Utav Nordens Själ 4:28

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