Recensione: Time For Revenge

Di Stefano Ricetti - 3 Febbraio 2009 - 0:00
Time For Revenge
Band: Ivory
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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60

Time For Revenge è in pratica il primo full length dei piemontesi Ivory, dopo che Prophecy Of A Dream del 2003 non vide misteriosamente la luce, sotto l’egida della Undergound Symphony. Nel 2007, sotto forma di demo, uscì Atlantis Falls, comprendente tre pezzi, peraltro presenti anche in questo lavoro: Symbols Of Pyramid, Time For Revenge e la title track.

Si aprono le danze, è proprio il caso di dirlo, con The Pharaoh, che fra inserti Folk e atmosfere Power si concede svistate chitarristiche a la Rhapsody Of Fire. Symbols Of Pyramid si caratterizza per gli stop&go e le buone linee vocali ma il vero sobbalzo si ha con la paradisiaca Gates Of My Heart: un esempio di songwriting adulto che fa degli intrecci di chitarre e tastiere la propria peculiarità, fra scappatelle Progressive. In Rise i cinque lasciano da parte i fiorellini e puntano al sodo, tramite un pezzo di Hard Rock robusto, dove spesso gli strumenti mostrano giustamente i muscoli, così come l’ugola di Ivan G. La title track, seppur piacevole, pecca nella mancanza di cattiveria e il sospetto che i Nostri diano il meglio in territori slow lo si ha nella ballad Just The Eyes, un pezzo dalla protervia melodica ingombrante, purtroppo penalizzato da una produzione non all’altezza di cotanta ispirazione.

Aeternal Dance pesta il giusto, dimenandosi fra sprazzi Prog e Power Metal da manuale, Atlantis Falls è il doveroso tributo musicale degli Ivory ai concittadini Elektradrive, mentre la strumentale Heaven’s Call prepara il terreno a Gothic Cathedral, campo di battaglia ideale per mostrare l’attitudine melodica del combo sabaudo, a proprio agio fra partiture Hard e vocalizzi variegati.

Time For Revenge è un lavoro spiazzante, a tratti dispersivo, difficilmente definibile proprio perché estremamente eterogeneo, figlio di una licenza di scrivere pezzi in assoluta libertà e senza vincoli di sorta. Il rischio che si corre, in questi casi, è di mettere troppa carne al fuoco e produrre un melting pot estremamente diversificato che, proprio per questo, perde di incisività.

Se la copertina risponde appieno alle attese – da lontano ricorda Noble Savage dei Virgin Steele -, al contrario il suono non rende giustizia a Salvo Vecchio e compagni che, d’altro canto, si sono spesso lasciati sedurre dalla celebrazione di se stessi senza incanalare gli sforzi al servizio delle singole canzoni. Il disco, stilisticamente è inattaccabile, rimanda però a quei pugili dotati di scherma sopraffina che non riescono mai ad affondare il pugno del knock-out. Restando in ambito boxistico, i precisi colpi di alleggerimento alla figura vengono assestati, è vero – Gates Of My Heart, Just The Eyes e Gothic Cathedral sono lì a dimostrarlo -, manca però il montante definitivo, quello che riporta di nuovo il dito, magicamente, sopra il pulsante Play.

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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Line-up:
Ivan G. – vocals
Salvo Vecchio – guitars
Luca Bernazzi – bass
Andrea Marincola – keyboards and piano
Il Pedro – drums

Tracklist:
01 – The Pharaoh
02 – Gates of my heart
03 – Symbols of Pyramid
04 – Rise
05 – Time for Revenge
06 – Just the eyes
07 – Aeternal dance
08 – Atlantis falls
09 – Heaven’s call
10 – Gothic Chatedral

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