Recensione: Time Like Vines

Di Fabio Vellata - 19 Agosto 2006 - 0:00
Time Like Vines
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Genere:
Anno: 2006
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68

Giovane band norvegese con all’attivo la produzione di qualche demo, i She Said Destroy giungono sul mercato europeo con la loro prima fatica “Time Like Vines”, all’insegna del death talvolta brutale e feroce ma sempre tecnicamente evolutissimo, offrendo un valido motivo d’interesse per gli amanti dei primi Dark Tranquillity, Cephalic Carnage e Nile, senza dimenticare la lezione impartita dai maestri Morbid Angel e Cannibal Corpse.

La resa del lavoro del gruppo scandinavo è davvero sopra le righe e va di diritto a piazzarsi nella categoria delle sorprese del 2006, per varietà stilistica e validità della proposta.
La confezione dei brani non risulta mai statica e favorisce la nascita di numerosi spunti dalla natura variegata e mai fine a se stessa; il movimento propulsivo della sezione ritmica è tellurico come da tradizione ed i growls dei due vocalist (e chitarristi) Snorre e Anders è fortissimamente ruvido, tuttavia non è raro imbattersi in fughe di maggiore dote descrittiva dal sentore quasi gotico e d’atmosfera maggiormente rarefatta, arricchite sempre e comunque da una padronanza strumentale più che buona e da doti squisitamente tecniche di grande valore.

L’intransigenza death dell’opener “Armageddon, Anyone?” ad esempio, regala una struttura che deriva dai Morbid Angel nel suo incedere potente e diretto, con enormi chitarre a dettare cambi di tempo “spezza collo” e ritmiche da danza infernale, mentre la successiva “Time Like Vines”, cambia sin da subito registro, andando a piazzarsi in un ottica molto meno tradizionalista grazie a spunti più cadenzati, dai risvolti quasi jazz ed una ricchezza sonora di notevole fascino, dove growls di durezza inaudita coabitano con situazioni meno brutali ed assassine; sempre in primissimo piano il gigantesco lavoro delle chitarre, che elargiscono riffs su riffs senza il minimo segnale di cedimento.

Questa interessante verve creativa è riscontrabile pressoché in tutto l’album, che così appare come un prodotto certamente non banale e di buon fascino.
Pezzi come la violenta “Der Untergeher” vanno a sfumare in tracce dalle ambientazioni più personali e ricercate come la descrittiva “I Sense A Tempest Arising”, per alcuni istanti quasi affine ai Neurosis ed ai Red Harvest; emergono poi le ottime capacità del gruppo nei continui stacchi e cambi di tempo di “Beyond The Borders Of Our Mind” e “Joy To The World: The Coming Of Kali”, mentre la ferocia brutal – black rilevabile nella parte iniziale di “Shapeshifter” è prontamente mitigata da uno stacco gothic di grande effetto; l’incedere monolitico di “Swallow My Tongue” e l’attacco assaltante di “Becoming The Morningstar” (dove il growl si fa ancora più cavernoso e malato) sono poi la conferma di quanto sino a qui espresso, con frequenti cambi di ritmo ed atmosfera a definire ancor di più l’aspetto alquanto multiforme della musica dei She Said Destroy.
Chiude infine, il breve strumentale “Morituri Te Salutant”, rilassata melodia eseguita con chitarra acustica che suggella un cd di inatteso spessore e qualità.

Pollice alzato dunque per questo giovane gruppo Norvegese, autore di una prova riccamente strutturata, prodotta in modo egregio e dalle idee ben chiare. Forse non così spinti nell’evoluzione stilistica da essere paragonabili ad entità inclassificabili come i Pan.Thy.Monium, la proposta dei She Said Destroy piace comunque molto nella sua pulsante natura cangiante, e si propone come un buon punto fermo su cui contare per le fortune della musica estrema degli anni a venire.

Amanti del metal estremo, strutturato ed intelligente fatevi sotto!

Line Up:
Anders – Chitarra / Voce
Snorre – Chitarra / Voce
Eystein – Basso
Torris – Batteria

Tracklist:

01. Armageddon, Anyone?
02. Time Like Vines
03. Der Untergeher
04. I Sense A Tempest Arising
05. Beyond The Borders Of Our Minds
06. Joy To The World: The Coming Of Kali
07. Shapeshifeter
08. Swallow My Tongue
09. Becoming The Morningstar
10. Morituri Te Salutant

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