Recensione: Time Tears Down

Di Daniele D'Adamo - 5 Agosto 2013 - 16:18
Time Tears Down
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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69

 

Il death melodico classico, per intendersi quello discendente dal leggendario swedish (o gothenburg metal) di Sentenced e In Flames, sembra aver passato i suoi tempi migliori; travolto da rigurgiti di modernismo ne hanno indirizzato la tipologia-base verso forme meno invasive coincidenti, per l’appunto, nel ‘modern melodeath’ di formazioni quali Rise The Fall, Nodrama e The Stranded.  

I tedeschi Parasite Inc., di quanto espresso in tale premessa, se ne fanno un baffo; dando alle stampe, in pieno 2013, “Time Tears Down”, manifesto del genere nato in Svezia all’inizio degli anni ’90. Portando quasi all’esasperazione la filosofia cardine del genere stesso, fondata sull’esplosiva miscela fra potenza dirompente e armonia accattivante. Che questo buttarsi senza indecisioni nelle braccia del melodic death sia il frutto di una precisa e spontanea volontà decisa a tavolino, poi, lo indica la recente data di nascita dei teutonici, 2007; fugando così ogni dubbio in merito alla genuinità della proposta e, soprattutto, al fatto che non si tratti, questa, di un’operazione atta a riciclare materiale prodotto qualche lustro fa. Del resto “Time Tears Down” rappresenta già il secondo punto fermo di un cammino che ha portato i Parasite Inc. a registrare l’omonimo debut-album nel 2009, appunto, e il singolo “Function Or Perish” nel 2011. Un percorso autonomo che non mostra indecisioni di sorta in merito alla direzione musicale intrapresa e che non lascia spazio per ciò ad alcuna remora o ripensamento.     

“Back For War”, difatti, non lascia alcun dubbio in merito a ciò che sarà “Time Tears Down”: riff violentissimi, drumming incernierato su travolgenti up-tempo, ritornelli da mandare a memoria, growling furente e rabbioso. Accelerazioni, rallentamenti, break magari ricchi di tastiere, soli laceranti e fulminei che non dimenticano il tapping à la Van Halen. Rispetto alle produzioni dei citati In Flames, però, i Parasite Inc. puntano moltissimo sull’impatto deflagrante del loro sound, mantenendo costante una tensione energetica assai elevata che fonda le propaggini nel power metal d’estrazione americana. Dando perciò alla foggia musicale quel tocco retrò di cui s’è scritto più su anche se, meglio evidenziarlo, le partiture delle tastiere, sempre presenti seppur mai invasive, le regalano un retrogusto moderno e attuale. Senza stravolgere nulla, quindi, il combo di Aalen è riuscito a imbastire un proprio stile che, senza possedere carattere di particolare originalità (l’incipit di “Armageddon In 16 To 9” potrebbe, per esempio, far parte di un disco degli Iron Maiden…), mantiene una buona uniformità e, soprattutto, infonde in chi ascolta una gradevole sensazione di ferma sicurezza.       

Non male neppure l’insieme delle dodici canzoni (“Dead Life” è una bonus-track…), sicuramente da promuovere nel suo complesso, anche se non traspare, da suoi anfratti, un talento compositivo fuori dal comune. L’opener anzi citata è probabilmente l’episodio migliore del disco, seppur non manchino altri brani da citare qua e là. “Function Or Perish” è un segmento che non mancherà di far faville, dal vivo, per via del suo chorus semplice, secco e anthemico; così come il riffing ‘danzereccio’ di “Pulse Of The Dead” renderà vano ogni tentativo di non far battere la punta del piede per terra. “End Of Illusions”, come da titolo, termina il lavoro con un bel viaggio, morbido e cadenzato, fra le terre dei sogni, lasciando intravedere una certa predisposizione, da parte di Kai e compagni, nel saper creare atmosfere emotivamente profonde.

A parte la perfetta saldatura del cerchio con “Back For War” ed “End Of Illusions”, pare non esserci, tuttavia, quel quid artistico tale da far esplodere in alto nel cielo i Parasite Inc. al pari del loro debordante, taurino fronte sonoro. La sufficienza è più che abbondante, poiché “Time Tears Down” scorre bene e dà più di uno scossone ai timpani ma, è facile, non lascerà gran traccia di sé, nella Storia del metal.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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