Recensione: Time Waits For No Slave

Di Michele Carli - 12 Febbraio 2009 - 0:00
Time Waits For No Slave
Band: Napalm Death
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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85

Quasi trent’anni (!) di attività, una quindicina di full length senza sbagliare un colpo e l’onore di aver dato il nome a un genere musicale possono bastare come biglietto da visita? Direi proprio di si, e finalmente i Napalm Death sono tornati a massacrarci con un nuovo album. Ma prima di parlarne, vediamo di fare un po’ il punto della situazione.

Dopo aver pubblicato il famigerato From Enslavement To Obliteration, i Napalm Death hanno subìto un pesante cambiamento di line-up avvenuto con l’uscita di Lee Dorrian e Bill Steer, rimpiazzati da Barney Greenway, Jesse Pintado e Mitch Harris (oggi l’unico chitarrista dopo la prematura scomparsa di Pintado qualche anno fa). Un cambiamento che li ha portati ad abbandonare il grindcore “puro” e ad abbracciare una sorta di death/grind fortemente influenzato dai Celtic Frost e ovviamente dall’hardcore e dal crust punk. Tuttavia, negli anni è stato dato spazio a contaminazioni derivanti dal black metal e dall’hardcore più moderno, molto presenti specialmente negli ultimi album.

Time Waits For No Slave è l’ultimo nato in casa Napalm Death e una volta inserito nel lettore cd è impossibile non essere pervasi da un senso di felicità. La partenza è di quelle da restarci secchi: Strongarm è una legnata in fronte, catchy e veloce ma con un groove pauroso in pieno stile Napalm. Anche la seguente Diktat e la blackeggiante Work To Rule, assieme alla cadenzata On The Brink Of Extinction si attestano su livelli decisamente alti, mettendo in risalto un’ispirazione che da un po’ non si faceva notare. Giunti alla title track, ci troviamo di fronte al primo, vero esempio di sperimentazione contenuto nell’album. Devo dire che, inizialmente, sono rimasto spiazzato dalle scelte vocali (in certi momenti le voci sono quasi pulite) e melodiche contenute in questa traccia e in altre come Life and Limb e Fallacy Dominion. In seguito non ho potuto far altro che rivalutarle e inserirle nelle tracce più interessanti dell’intero disco, con quella loro aria leggermente industrial che mi ha fatto tornare in mente addirittura qualcosa dei compianti Strapping Young Lad.
Il resto dell’album scorre che è una bellezza. Tracce come Downbeat Clique (vi sfido a mantenere ferma la testa) e la conclusiva De-evolution Ad Nauseum fanno gioire come bambini al luna park con le tasche piene di biglietti omaggio. La produzione, compatta e potente, trasmette in modo efficace tutta la carica delle composizioni, risparmiandoci anche il suono di batteria finto, già sentito purtroppo in alcuni dischi del gruppo in passato.

Una serie di elementi che combaciano alla perfezione e che contribuiscono a creare uno degli album più riusciti, e allo stesso tempo più coraggiosi, dell’intera discografia dei quattro inglesi. La classe non è acqua, c’è poco da fare, e nel duemilanove sono i “nonni” a fare un passo in avanti per l’evoluzione del genere. Vedremo in futuro se il messaggio verrà recepito anche dalle nuove reclute.

Michele “Panzerfaust” Carli

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Tracklist:

1. Strongarm
2. Diktat
3. Work to Rule
4. On the Brink of Extinction
5. Time Waits for No Slave
6. Life and Limb
7. Downbeat Clique
8. Fallacy Dominion
9. Passive Tense
10. Laurency of the Heart
11. Procrastination of the Empty Vessel
12. Feeling Redundant
13. A No-sided Argument
14. De-evolution Ad Nauseum

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