Recensione: Timelessness

Di Gianluca Fontanesi - 31 Agosto 2014 - 16:46
Timelessness
Band: Serdce
Etichetta:
Genere:
Anno: 2014
Nazione:
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80

 

La cosa meravigliosa dell’underground è che, spesso e volentieri, sforna perle di non rara ma pregevole bellezza. Una di queste è certamente “Timelessness” dei bielorussi Serdce che, arrivati al quarto album da perfetti sconosciuti al ‘giro grosso’, tirano fuori dal cappello un coniglietto non di immense dimensioni ma sicuramente obeso. La carne al fuoco qui è tantissima. Parliamo di quasi settanta minuti di musica riguardanti un progressive metal che tanto è caro agli amanti di uno stile presente su un disco di nome “Focus”. I bielorussi continuano con grande bontà il discorso intrapreso nel lontano 1993 dai Cynic con risultati eccellenti: chi quindi fosse rimasto deluso da “Kindly Bent To Free Us” e dal recente corso della band di Paul Masvidal, farebbe bene a drizzare le orecchie!

A “Into Shambhala” è affidato il compito di aprire le danze in maniera soffusa e ambient, in cui le tastiere sono in primissimo piano; giusto il tempo di respirare e già “Samadhi” ci trasporta nella dimensione dei Serdce. La band sfoggia immediatamente una tecnica decisamente sopra la media, con in grande spolvero l’immancabile basso fretless ed un grande lavoro in fase compositiva. Buonissimo l’alternarsi delle voci in growl, scream e clean e il ponte pieno stile Dream Theater che non lascia scampo, finendo in un excursus di musica etnica (samba?) prima del ritorno sulla Terra e alla ripresa del tema portante. Azzeccatissimo il finale di solo pianoforte accompagnato da qualche sporadico stacco. “Omens” è aperta da un carrillon ed è la prima delle due canzoni del disco a superare i nove minuti di durata. Menzione particolare al fatto che non ci si rende molto conto del passare del tempo, il tedio qui non sta assolutamente di casa! Qui si passa da un quasi black iniziale agli attuali Cynic (più o meno) in un batter d’occhio; da sottolineare la naturalezza disarmante con cui i nostri eseguono i vari cambi di umore nei pezzi, cosa assolutamente non facile. La parte centrale del brano tarpa le ali a parecchi musicisti anche più blasonati in circolazione: succede di tutto e di più e si assiste a un totale stato di grazia in grado di lasciare l’ascoltatore basito. I parecchi sprazzi di avantgarde sparsi per tutta l’opera sono decisamente spettacolari!

“Last Faith” è il secondo monolite e il pezzo di durata maggiore in “Timelessness”: l’incedere iniziale è affidato al pianoforte e alle clean vocals. Le melodie in questo senso non sono mai banali e riescono a tenere viva l’attenzione senza appunto sconfinare nel trito e ritrito che mai giova. Questa tradizione continua anche nel momento in cui il pezzo si apre e si rivela, assieme all’ormai scontato sfoggio di accademia strumentale durante il bridge. Forse è questo un difetto che si può imputare a “Timelessness”: la troppa accademia e la sensazione del ‘guarda come sono bravo’che potrebbe subentrare nel momento in cui si pensa all’utilità di questo tipo di cose in tutti i brani proposti. La tecnica non è sempre mirata al servizio della canzone e probabilmente è questa la frase che spiega meglio il concetto. Detto questo, niente ovviamente da eccepire sulle capacità esecutive dei Nostri e sulla notevole fantasia solistica proposta; buono e orecchiabile il ritornello. “Loss Of Feelings Or Feeling Of Loss” affida il suo inizio a pianoforte e clean vocals e si può considerare il primo ‘lentaccio’ dell’album. Strumentalmente eccezionale, in particolare l’assolo, ma con una linea vocale altalenante che non riesce mai a decollare fino in fondo. Peccato. “The Sixth Sense” torna prepotentemente allo stile principale dell’album con un buon alternarsi growl/clean e un allucinante susseguirsi di tempistiche sbilenche e folli. Mostruoso Andrew alla batteria: fa un po’ quello che vuole e offre una prova pazzesca, nonostante il brano nella seconda metà finisca per perdersi leggermente. “Unique Path” ha un incedere onirico e sognante, complici arrangiamenti più morbidi e melodici; qui le clean decisamente migliorano rispetto a “Loss Of Feelings Or Feeling Of Loss” e anche le lunghe parti strumentali sono meglio inserite nel contesto che si sta suonando. “Quasar” nulla aggiunge e nulla toglie a ciò che è stato proposto finora; “Newborn” offre un paio di minuti strumentali con l’ormai immancabile sax e “Magic Rain” chiude in maniera più che degna il disco mantenendosi sempre su elevati standard qualitativi.

Come detto in precedenza, chi ai tempi amò “Focus” sicuramente amerà i Serdce e il loro quarto album, una vera e propria boccata di aria fresca nel panorama progressive metal estremo con pochi difetti e una vagonata di pregi. “Timelessness” è un disco iper tecnico, a volte criptico, a volte spietato e a volte un panegirico senza via d’uscita; non inventa niente ma ci prova coi fattori che abbiamo da poco descritto. La scelta sta a voi ora, ma il giudizio probabilmente non avrà mezze misure: o un capolavoro o una grande nebbia londinese senza arrosto. Noi ci collochiamo un po’ sopra l’equilibrio.

Gianluca Fontanesi
 

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