Recensione: To Starve the Cross

Di Daniele D'Adamo - 17 Giugno 2016 - 19:35
To Starve the Cross
Band: Ghoulgotha
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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72

Continua l’ascesa verso la vetta del Golgota da parte dell’ensemble statunitense Ghoulgotha che, con il nuovo “To Starve the Cross”, aggiunge una tappa al debut-album “The Deathmass Cloak”, pubblicato l’anno scorso.

Inalterata la mistura doom/old school death metal, anche se, pare, il terzetto di San Diego si sia spostato maggiormente dalla parte del secondo dei generi sopra menzionati. Aumentando ancora, rispetto agli esordi, la quota di dissonanze e atonalità. Per un risultato davvero ostico, arcigno, che non regala nulla all’orecchiabilità.

La band si comporta bene sia nei lenti labirinti del doom (‘Pangaea Reforms’), sia quando appare palese la corsa nei territori del death. Come nella brutale, veloce, violenta ‘Thou, Beneath Ligaments Foul’. Anzi, perlomeno a parere di chi scrive, è proprio nelle occasioni in cui si alzano i BPM, che la formazione californiana dà il meglio di sé. Il suono clamorosamente marcio delle chitarre, difatti, sublima con il primordiale drumming, quando quest’ultimo decide di sfondare la barriera dei blast-beats. Probabilmente, il doom esige degli specialisti dedicati, per cui quando, come in quest’occasione, questi è incrociato con il death, i momenti rallentati sono quelli meno interessanti.

In “To Starve the Cross”, come del resto accadeva anche in “The Deathmass Cloak”, è proprio quando W. Sarantopoulos & Co. alzano il tiro, che la  questione diventa interessante. Altrimenti, a parte certe buone idee che circolano in song tipo ‘Wounds Immaculate’, il rischio è il solito. Cioè, di scivolare nella noia. Circostanza che è lì, perennemente in agguato, alle spalle dei Nostri. Particolarmente, in occasione dei segmenti ove la disarmonia la fa da padrona.

Senza dubbio i Ghoulgotha sanno suonare, confondendo un po’ le acque con il loro sound volutamente rozzo e primitivo. Tuttavia, le partiture delle varie canzoni non sono mai semplici, neppure lineari. Con che, occorre parecchio tempo per entrare nel loro modus operandi compositivo. E, conseguentemente, aumenta il rischio di tediarsi, se non si riesce a trovare il bandolo della matassa con cui si può raffigurare “To Starve the Cross”. Una matassa intricata, forse troppo, per inglobare al suo interno quegli elementi doom che, al contrario, sono pienamente efficaci quando disadorni.

Allora, si ripropone il tormentoso dilemma. Il cosiddetto, e abusato, doom/death, è doom elaborato e complesso, o è death semplificato? Nel caso dei Ghoulgotha, nessuno dei due. Essi difatti, elaborano il proprio stile su una struttura non-lineare, ma dai cinetismi rallentati. Proprio per ciò è opportuno definirli death metal. Proprio per inquadrarli correttamente in una cornice dai lati certi, per poi divagare liberamente entro un sound articolato, cupo, oscuro, doloroso, ma pur sempre death.

Comunque sia, la staticità dell’insieme è alla fine il limite principale di “To Starve the Cross”. Probabilmente, ragionando per analogia, i Ghoulgotha possiedono ancora dei margini di miglioramento, soprattutto nella rifinitura del proprio marchio di fabbrica, dai contorni ancora un po’ sfumati e non perfettamente ancora a fuoco.

Serve il terzo full-length.

Daniele D’Adamo

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