Recensione: Tokyo Motor Fist

Di Fabio Vellata - 26 Febbraio 2017 - 0:39
Tokyo Motor Fist
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2017
Nazione:
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82

Un po’ come successo lo scorso anno con i Defiants, giusto di questi tempi, ecco affacciarsi in casa Frontiers un side project assolutamente estemporaneo votato alla riscoperta di sonorità vitali ed energiche, dallo spensierato flavour tipico degli anni ’80.

Un parallelo, quello con i Defiants, che per i Tokyo Motor Fist deve nuovamente chiamare in causa la preponderante influenza dei Danger Danger, band fondamentale per l’hair metal di trent’anni fa che non ha mai smesso di riflettere il proprio ascendente su molta della produzione degli anni successivi, proponendosi costantemente quale punto di riferimento essenziale per chi volesse realizzare un prodotto costruito sulla base di hookline semplici ed immediate, corroborate da generosa vivacità e da un nutrito quantitativo di sensazioni positive (le proverbiali “good vibrations”).

Quando poi, i soggetti responsabili del nuovo, suddetto, side project sono Ted Poley – proprio il singer dell’epoca d’oro dei Danger Danger – e Steve Brown, mente, fondatore e chitarrista storico dei “cuginetti” Trixter, il gioco si fa semplice ed il programma esplicito.
Facile insomma, capire nell’immediato quali saranno le caratteristiche del progetto e come sarà orientato il songwriting delle canzoni.
Hair metal a tutta forza, con cori in primo piano, ritornelli che prendono al primo colpo e linee melodiche affilate e veloci, istantanee, cristalline ed “a presa rapida”.

Siam sempre lì.
Parlare d’originalità in casi come questo è un mero tabù. Ma del resto, in tutta franchezza, poco importa. O meglio, chi se ne frega.
Quando i suoni sono così buoni, le atmosfere tanto ben costruite, i ritmi così coinvolgenti ed i cori tanto “performanti”, pare proprio impossibile non percepire un sentore di incondizionato appagamento nel mandare in loop il disco, ascoltando senza soluzione di continuità le undici canzoni di cui è composto.

Si parte dalla iniziale “Pickin’ Up the Pieces” e si arriva alla conclusiva “Fallin’ Apart” per un bel viaggio in decappottabile lungo le strade assolate degli anni ottanta, incontrando, di volta in volta, i già citati Trixter e Danger Danger (come potrebbe essere altrimenti), i Def Leps, i Warrant, i Firehouse, i Black n’Blue ed in generale tutta la poetica, la “filosofia”, lo stile ed il modo di scrivere di quelle band che negli eighties non erano davvero AOR morbido ed edulcorato, ma nemmeno Hard Rock arcigno e battagliero. Erano propriamente hair metal.

L’effetto è assicurato ed il piacere con cui accade di ascoltare pezzi come “Love me Insane”, “Black n’Blue” (guarda caso…) e “You’re My Revolution” è davvero notevole.
Per non parlare della goduria che deriva dalle sgommanti e Defleppardiane “Put Me To Shame” – il coro migliore del disco e tra i più belli sentiti in tali ambiti da parecchio tempo – e “Done To Me”, pezzi che da soli valgono l’intero prezzo del disco.
Una bella botta di energia e voglia di vivere, per certi versi un po’ nostalgica, eppure gradevole alle orecchie di chiunque possa dirsi in qualche modo attratto dal rock melodico, ben suonato, ben interpretato e ben prodotto.

Ammiccante e sornione quanto basta, il side project Tokyo Motor Fist della coppia Poley / Brown (con gli ottimi sodali Greg Smith al basso e Chuck Burgi alla batteria), si infila, dritto-dritto, nell’elenco delle produzioni estemporanee che quasi sicuramente non avranno mai un seguito discografico.
Ma che, proprio come un imperioso, scintillante e forse unico fuoco d’artificio, sanno destare meraviglia e lasciare con un bel sorriso stampato sul volto.

 

 

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