Recensione: Towards Inevitable Ruin

Di Daniele D'Adamo - 12 Agosto 2016 - 18:25
Towards Inevitable Ruin
Band: Defiled
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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80

Chi dovesse ancora pensare che in Giappone imitino e basta, soprattutto nel metal, è servito: sul piatto c’è “Towards Inevitable Ruin”, quinto studio-album degli storici – sono nati nel 1992, infatti – Defiled, a dimostrare che, al contrario, chi ha delle idee proprie e le sa sviluppare, non ha una patria.

“Towards Inevitable Ruin” è un full-length che fa letteralmente paura, per l’intensità cui il death metal viene spinto. Una sensazione di smarrimento simile a quella che si prova di fronte a una creatura dei Wormed. Ma si citano gli spagnoli per questa esclusiva percezione. I Defiled, difatti, possiedono un sound assolutamente unico. Tanto è vero che, anche a pensarci bene, di paragoni per rendere l’idea non ne vengono fuori. Loro sono unici, ed è questa, proprio, la loro grande forza. Sono talmente avulsi dalla banalità della media, che per loro vengono in mente i Voivod, per come, negli anni ’80, essi c’entrassero con il thrash. Anche in questo caso, solo una similitudine concettuale e non musicale.

Musicalmente, a proposito, i Defiled fanno brutal ad alte dosi di tecnica strumentale. Troppo brutti, sporchi e cattivi per far parte del technical, i quattro di Tokyo sono davvero impressionanti, in quanto a perizia tecnica. Soprattutto i due chitarristi, Shinichiro Hamada e Yusuke Sumita, a parere di chi scrive fra le migliori coppie d’ascia al Mondo. Velocità di esecuzione allucinante, sequenze di riff sterminate, varietà senza fine. Il muraglione di suono eretto dalle due sei corde è semplicemente inumano. Alieno. Dimensionalmente infinito nelle due dimensioni planari, spesso metri e metri di granito purissimo.

Ma Hamada dà prova di gran talento non solo con la chitarra. Le sue linee vocali, condotte da un roco, greve e stentoreo growling – a volte addirittura soffuso – , nondimeno, riescono a legarsi in maniera quasi… inspiegabile con le complicatissime trame musicali, creando un amalgama accattivante, nonostante non ci sia nemmeno una nota melodica, in “Towards Inevitable Ruin”. Girando pagina, cioè scorrendo le song, non si riesce mai a prevedere come sarà. Il che rende il full-length stesso assai longevo e molto, molto interessante da ascoltare. Da digerire. Da metabolizzare. Roba tosta, dall’assimilazione difficile, però. Ciò, è bene sottolinearlo: occorrono molti tragitti sulla tratta ‘Subversion’‘Towards Inevitable Ruin’, per entrare in sintonia con il lavoro nel suo complesso. Con il geniale modus operandi dei Nostri, con l’astrusa semplicità del format-canzone, con l’andirivieni della marea di accordi sparati a 400 km/h.

Anche quando i BPM si avvicinano ai numeri dell’allucinazione, come per esempio nella densissima ‘One World’, quando cioè gli indescrivibili blast-beats di Keisuke Hamada, fra i più violenti e rapidi della Terra, dominano, non si perde mai la bussola, non si scade mai nel caos a sé stante. Anzi, si mantiene alto il dinamismo, la scioltezza, la continuità ritmica (‘Towards Inevitable Ruin’). Roba retaggio solo dei Campioni.

Altro che copia/incolla.

Daniele D’Adamo

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