Recensione: Transfiguration

Di Stefano Santamaria - 14 Aprile 2017 - 0:00
Transfiguration
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2017
Nazione:
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75

Assonnati ci incamminiamo, poggiandoci su stipite di una porta logora. Il legno ci ferisce, e l’angoscia d’improvviso ci colpisce al petto. Irrequieti ci giriamo, verso un vuoto che dietro di noi maschera l’ombra di ciò che eravamo. Quella figura, evidenzia di nero i lascivi orrori su cui eravamo deposti. Feriti ci voltiamo, lasciando cadere le nostre membra sul nulla di cui amavamo il respiro, e di cui ora bramiamo solo il vizio.

Questo ciò che gli “Show Of Bedlam” ci trasmettono, con il loro secondo lavoro in studio. Il loro sound è un doom dalle soffuse tinte post rock, dall’alienante voce sludge e le cui distorsioni non vanno mai oltre certi estremismi sonori. L’aspetto “core” della band è così in secondo piano, modo di veicolare meglio l’affanno che ci opprime. 

L’interprete femminile alla voce, regala indubbiamente qualcosa di originale, abbinando momenti di tensione, ad altri di vera e propria paranoia, inquietudine che si materializza in un tremito che tutto investe. Gli sviluppi dei brani, assai dilatati e monolitici, mostrano via via atmosfere avvolgenti, che ci riportano alla mente i maestri Yob, o gli Acid Coma. Grida che spezzano l’aria in due,  immagini tremolanti che si susseguono, tra le urla di chi ci vuol destare. Rabbia che percepiamo, ma alla quale non riusciamo a dare seguito, restando inerti, persi nel vuoto che abbiamo dentro. Trasfigurazione della nostra anima, il cui aspetto non riusciamo più a contemplare, come un ritratto di un quadro che ci mostra, per quello che siamo. Ci viene così in mente l’immagine di Dorian Gray, di uno spirito che si dimena in uno spazio in cui la mefitica essenza di noi si consuma. 

Il full-lenght, nonostante alcuni canoni tipici del filone, riesce ad essere piacevolmente scorrevole, esegeta di una dinamicità che richiede pazienza, ma che se colta, saprà soddisfarvi. Cadendo in questo baratro, gli Show Of Bedlam ci raccontano di paure, vergogne e di malattie che divorano la mente. Straziati ci perdiamo in un sound che non tutti sanno assimilare, ma che molto spesso racchiude emozioni che difficilmente altri filoni riescono a rappresentare. Auspichiamo che la band sappia evolvere ulteriormente, aggiungendo quello spunto personale che li faccia brillare di luce propria. Per ora godiamoci un disco che riesce a regalare sensazioni, e che non vi deluderà.

Stefano “Thiess” Santamaria

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