Recensione: Turbolence From The Deep

Di Daniele D'Adamo - 13 Luglio 2013 - 0:01
Turbolence From The Deep
Band: Humiliation
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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50

 

Ottima idea, quella dei malesi Humiliation, di coniugare la sensazione di abissale claustrofobia che solo la lunga permanenza in un sottomarino può dare, alla spaventosa pesantezza che deriva dall’incrocio fra death metal e doom. Legando il tutto a un concept che, ovviamente – non esistendo in pratica sottomarini civili – , non poteva che essere incentrato su epiche storie di battaglie sommerse.   

E, come in un’emersione rapida, i cinque loschi figuri di Kuala Lumpur giungono a “Turbolence From The Deep” in maniera fulminea, se si pensa che dal 2009, anno di nascita, hanno dato alle stampe un’abbondante produzione discografica: “Face The Disaster”, EP, 2009; “Dawn Of Warfare”, full-length, 2010; “Brink Of Defeat”, EP, 2011; “Seek To Survive”, full-length, 2011; “From Strength To Strength”, full-length, 2012; “The Carnal Slumber/Enemy’s Perimeter”, split con i Decrepitaph, 2013.  
 
A ben vedere la mania dei Nostri per i racconti di guerra non è certo recente, ma anzi li ha sempre accompagnati lungo la loro breve carriera. Quel che è via via cambiato è l’approccio musicale, all’inizio calibrato sulle formazioni classiche tipo Benediction, Massacre e Bolt Thrower, per poi evolversi in direzione di uno stile piuttosto personale. Incentrato sulla volontà di essere più pesanti possibile nell’estrinsecazione di un death comunque di derivazione ortodossa, se non addirittura old school. I ritmi rallentati dettati dal drumming Mudon, se qualche volta mostrano delle timide accelerazioni verso gli up-tempo, non si discostano praticamente mai da mid-tempo e slow-tempo opprimenti, angoscianti, soffocanti. Nulla a che vedere con le discese negli abissi guidate dai breakdown del metal/death-core quanto, bensì, con le mortifere battute lisergiche del doom metal. Abbondantemente sommerso dal growling costante, monocorde e monotono di Bear-Bee ma, soprattutto, sepolto dagli elementari, trascinati, durissimi riff della letale coppia Asraf/Matt, probabilmente impegnata nel fare a gara per essere una delle più… lente del Mondo. Così facendo, riescono a dar luogo a un album cui non manca una certa personalità giacché, effettivamente, non sono poi molte le formazioni a suonare un death così particolare, così facilmente riconoscibile.  
 
Purtroppo per loro, tutto quanto di buono è stato fatto in materia di sound e di stile viene clamorosamente vanificato da una disarmante piattezza compositiva, tale da rendere l’ascolto di “Turbolence From The Deep” alla stregua di una straziante, lunghissima, buia navigazione subacquea. Anche a intestardirsi e quindi a passare più volte il CD nel lettore, le singole canzoni non riescono a sopraelevarsi da una superficie immota come un mare in bonaccia. Finendo con il sembrare tragicamente uguali a se stesse, impelagate in un cliché che non mostra mai, durante i tre quarti d’ora di durata del disco, variazioni significative da uno schema sì ‘grazioso’ ma definitivamente elementare quanto immutabile nella sua tediosa iterazione. Nemmeno un chorus degno di menzione, nemmeno un passaggio che rimanga nella testa, insomma. Demolendo, in tal modo, quel senso di genuina sorpresa e di speranza per un qualcosa di buono e di diverso che si prova non appena si mettono le mani sul platter e partono i primi accordi di “No Return”.

Proprio per questo appare più grave, per gli Humiliation, non aver saputo sfruttare una trovata dal sicuro impatto emotivo nonché foriera di fantasiosi rimandi alle gesta degli equipaggi che hanno fatto la Storia della marineria, coniugando così nel migliore dei modi musica e temi. A parte forse “Operation Obeo One”, massiccia e consistente, il resto non riesce a distogliere la mente da una noia incipiente e dalla conseguente fretta di passare ad altro. Basti osservare, per concludere, che si salva solo il breve outro strumentale “Submerged At The Seabed”; il che è tutto dire.   

Peccato, peccato davvero.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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