Recensione: Twenty-First Century

Di Gianluca Nocini - 30 Agosto 2013 - 9:07
Twenty-First Century
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2013
Nazione:
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75

In un genere musicale sempre più inflazionato e derivativo brilla ancora qualche stella. Stavolta a prendersi la scena sono i Death Mechanism, band veronese alla loro terza fatica in studio. Importante sottolineare come la band nostrana sia una creatura alternativa di Pozza e Manu, membri dei leggendari Bulldozer. Tuttavia di questo ce ne occuperemo più avanti. Mi preme invece far emergere sin da subito un particolare di rilievo. Dopo due album (“Human Error…Global Terror” e “Mass Slavery”) nel complesso soddisfacenti, i DM sembrano aver finalmente intrapreso quel percorso importante auspicato qualche tempo fa. Un indice di tale maturità lo si può ricercare nei testi e nel complesso art-work che la band ha progettato per questo disco. Le tematiche dell’album rivelano rimandi squisitamente futuristici, molto vicini allo stile artistico di Dave Mustaine per intenderci. La band italiana ha trovato la formula per sparare a zero sul nostro piccolo mondo, per nulla salvo dai benefici apparenti di una tecnologia presente in ogni dove. Il leitmotiv in “Twenty-First Century” proietta la band avanti di anni luce, lambendo i confini del cosiddetto “Transhumanism”, una pseudo-filosofia dell’uomo del futuro. Questa visione pessimistica del genere umano scaturisce dalla rabbia che i nostri hanno nei confronti di una società sempre più a disagio con degli strumenti che non può gestire ne assimilare. Questo scontento si riversa come un fiume in piena nella loro musica. Lo screaming di Pozza è brutale, animalesco direi. La furia incontenibile del suo diaframma non lascia spazio a molte riflessioni: i DM vanno dritti al punto senza perdersi in artefici inutili. Anche in fase di mastering il disco è pregevole. Basti pensare che a produrre il disco c’era niente di meno che Tommy Vetterli, storico chitarrista dei Coroner.

I Death Mechanism sono ormai in attività da più di dieci anni e come accennavo prima due terzi dei componenti provengono dai Bulldozer, una band simbolo della scena Speed e Thrash italiana.

Chiarito l’orientamento tematico, andiamo a vedere come i DM hanno gestito questi argomenti sotto l’aspetto prettamente musicale.

“Twenty-First Century” è pura energia e velocità. I quaranta minuti si distribuiscono su dieci tracce compatte e non dissimili tra loro in termini stilistici. Se dovessi raccomandare alcune canzoni in particolare propenderei per la seconda traccia, “Earthly Immortality”, “Human Limits”, che viene subito dopo, e “Hidden Legacy”, esemplificativa dei motivi antropici osservati fin’ora.

L’album apre le danze con “Monitored Procreation”. La prima traccia esalta il simbolismo avveniristico scelto dalla band, facendo il suo ingresso in un’atmosfera apparentemente pacifica. La calma viene sempre prima della tempesta però: la tranquillità dura solo qualche secondo, poi si scatena la furia che ci accompagnerà senza sosta fino a “Collapse 2000 A.D”, l’ultima canzone del disco. Subito dopo viene una delle tracce che più mi hanno colpito nell’ascolto: “Earthly Immortality”. La traccia in questione è l’esaltazione brutale di cosa significa fare “Thrash”. Apre con toni piuttosto dark ma a poco a poco il buio si dirada e la canzone assume dinamicità.

Alcuni assoli sono particolarmente degni di nota. In “Exotropy” (tra le più tecniche dell’album), c’è ne uno in scala di brevissima durata, ma quanto mai efficace. Gli assoli di Pozza sono distorti allo stremo, ma essi non mancano affatto di una certa tecnica. Ascoltare proprio l’ultima traccia per credere. La ritmica si sviluppa in modo disinteressato dai più moderni contagi “core” del genere. Non è un disco barocco né pomposo, bensì essenziale e scarno. Tale povertà non annichilisce affatto la musica, ma le dà un gusto classico tale da ri-proiettare la band indietro negli anni ottanta stavolta. Il sound richiama molto la vecchia scuola europea infatti, vedi Kreator o Morbid Saint.  

Plauso alla band che ha saputo distinguersi dalla massa gregaria di band appartenenti al “Thrash” moderno, che il più delle volte si rivelano delle spiacevoli scoperte. In attesa del salto di qualità (qualche festival o etichetta importante?) godiamoci questo disco, un “must” per i malinconici!

Gianluca Nocini

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