Recensione: Tyrants

Di Daniele D'Adamo - 15 Dicembre 2014 - 18:44
Tyrants
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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78

La globalizzazione di usi, costumi, consuetudini e gusti, se da un lato porta a una certa spersonalizzazione della cultura umana, dall’altro consente a chiunque di usufruire di conoscenze uniche e magari geograficamente lontane, situate addirittura agli antipodi.   

È il caso, questo, degli australiani Aversions Crown che, pur vivendo nell’assolata Brisbane, sono fautori di un violentissimo ‘blackned deathcore’ il quale, a essere onesti, si può trovare o meglio si poteva trovare solo e soltanto nelle fredde, cupe e tormentose terre della vecchia Europa. O, al più, in qualche sperduta landa delle foreste americane. Invece, buon per chi ascolta, gli Aversions Crown, pur essendo nati solo quattro anni fa, hanno già disegnato a tinte forte un sound forse non particolarmente originale ma assai deciso, ricco di pathos e personalità.

Certo, “Tyrants” è il secondo lavoro dei Nostri, che segue l’EP omonimo nel 2010 e il CD “Servitude” del 2012. Con che appare logico che la band abbia avuto modo e tempo per affinare la propria coesione strutturale. Tuttavia, la sensazione che si prova procedendo nel viaggio che ha il suo inizio con “Hollow Planet” e la sua fine con “Faith Collapsing”, è quello di un percorso in cui si percepisce la sicura risolutezza di chi muove il timone. Mani ferme e sicure, per nulla intimorite dai marosi di un mercato internazionale saturo di proposte similari. Proprio per ciò, anche quando le spaventose decelerazioni che contraddistinguono gli stop’n’go – croce e delizia delle derivazioni *-core – Colin e i suoi compagni fanno davvero paura. Paura per via di un’energia gigantesca, immensa, senza fine, alimentata iperbolicamente dal titanico muro di suono tirato su dalle tre chitarre di Kevin Butler, Hayden e Mick. Una scelta, quella di inserire tre asce nella line-up, che ovviamente non è nuova, nel campo del metal, ma che pare riuscire particolarmente bene in occasione di questa foggia musicale ove, oltre alla velocità, conta la pesantezza. Più pesantezza possibile. Una pesantezza soffocante, che sfascia la gabbia toracica, pure quando Jayden Mason spinge oltre la sfera del suono i suoi blast-beats (“Vectors”).

Proprio tale song pare essere esemplificativa dello stile della formazione australe, nella ricchezza, cioè, di elementi radicati nel black metal, e ciò anche per via di linee cantate in screaming. Le quali, riccamente pregne di follia, si scontrano spesso e volentieri con un belluino growling, a volte venato d’inhale, per una completezza del disegno canoro (estremo) a tutto tondo. Evidenziando che, a voler rendere ancora più massiccio il platter, di clean vocals o alleggerimenti del genere non ce ne sono nemmeno a parlarne. Nessun abbellimento se non qualche tratteggio con il synt per sottolineare qualche passaggio più tenebroso, più angosciante di altri (“Overseer”). Sempre rispettando lo stile natio, incentrato su un mood crepuscolare, quasi horrorifico.  

L’esecuzione assolutamente perfetta da parte del sestetto dell’Oceania, inoltre, trasforma “Tyrants” in una devastante astronave stellare da combattimento, capace di radere al suolo interi pianeti in virtù del suo sterminato potenziale di fuoco nucleare. Davvero tremendo, quindi, l’impatto sonoro che gli Aversions Crown sono in grado di generare dalle sei bocche di fuoco. Con un controllo dei propri mezzi a volte impressionante, come si può constatare, per esempio, nella schizofrenica “Xenoforms”, abissale, vertiginosa discesa negli inferi che mette assieme lentissimi breakdown a iper-cinetici blast-beats.          

Una bravura a tutto tondo che non poteva passare inosservata, quella degli Aversions Crown, fautori difatti di uno dei migliori deathcore attualmente in circolazione. Un talento enorme che, non a caso, ha trovato nei mezzi della Nuclear Blast il giusto viatico per mettere in formato digitale una forma d’onda dal contenuto energetico stratosferico.  

Daniele “dani66” D’Adamo

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