Recensione: Unchained

Di Daniele D'Adamo - 28 Luglio 2014 - 18:20
Unchained
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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70

Cosa c’è di meglio per festeggiare al meglio i vent’anni di attività? Semplice: un album nuovo di zecca! E così fanno i Burden Of Grief, che danno alle stampe “Unchained”, sesto full-length di una carriera più che onorevole anche se passata costantemente ai margini dello splendore delle luci della ribalta.

Godendo dell’apporto di una label come la Massacre Records, i teutonici hanno potuto avvalersi dell’opera dell’ormai onnipresente Dan Swanö (Edge Of Sanity, Nightingale, Witherscape), il quale ha prodotto nella solita maniera, cioè perfettamente, il manufatto a lui sottoposto. “Unchained”, difatti, gode di un sound maestoso. Pieno, carnoso e potente. Pulito, preciso e moderno. Il massimo di quanto si possa ottenere oggigiorno nel campo del metal estremo melodico. Che poi i Burden Of Grief si possano accumunare al thrash invece che al death o viceversa è una circostanza tutto sommato secondaria.

Importa come sia il sound, prima di tutto. E qui, davvero, il combo di Warburg non è secondo a nessuno. Anche nei confronti dei vecchi volponi del melodic death metal, cui – a parere di chi scrive – è maggiormente vicino il platter. Del resto, i principali ingredienti del gothenburg metal ci sono tutti. I riff granitici ma melodici delle asce, il ritmo scoppiettante ma mai estremo del drumming, le linee vocali dal growling aggressivo ma mai eccessivo. Senza contare la presenza di arpeggi vari e di guitar-solo di stampo piuttosto classico. Nonché, ultima ma non ultima, una struttura compositiva semplice e lineare, chiara e scorrevole; elaborata apposta per non stancare troppo i neuroni deputati all’ascolto. Tutto ciò, però, nella sua correttezza formale, odora un po’ di dejà-vu, e così è. Seppur irreprensibile nella propria connotazione stilistica, il sound dei Nostri è pressoché privo di meccanismi evolutivi atti a modificare, anche di poco, una struttura ormai nota e stranota se non addirittura obsoleta. Come già accennato, Dan Swanö riesce a dare al lavoro la necessaria freschezza sì da non renderlo già vecchio prima ancora di esser nato. Tuttavia, ed è in questo che si può individuare il suo punto debole, “Unchained” non regala nulla di più di quanto non ci si aspetti dopo il semplice passaggio dell’opener. Un’inerzia che spegne leggermente gli entusiasmi per una realizzazione comunque importante poiché, e su questo non ci piove, i Burden Of Grief trasudano esperienza, mestiere e tecnica da ogni poro, in grado di sostenerli – teoricamente – in qualsiasi impresa.

Più riuscito, al contrario, il songwriting delle singole canzoni. Alcune delle quali assolutamente pregevoli. Emerge, cioè, un certo talento compositivo che proprio da tutti non è, e che riesce a tratteggiare un buon insieme di song. Song assestate più o meno sullo stesso livello qualitativo, dal quale si possono citare come emergenti “Awaken The Nightmare”, frizzante e trascinante; “The Final Chapter”, dall’epico, drammatico incedere; la riottosa “Your Heaven Is Gone”, dal refrain che s’installa nel cranio per rimanervi a lungo. E, soprattutto, “Turmoil To The Void”, la migliore del lotto per l’istintiva emotività che emana e per la varietà del ritmo. Da segnalare infine, presenti soltanto nella versione limited digipack, le due bonus-track “Another Way To Die” e “Neon Knights”, quest’ultima cover – ottimamente reinterpretata – del leggendario brano dei Black Sabbath.

Forse potevano fare di più, i Burden Of Grief. Forse avrebbero potuto fare di meno. In fin dei conti, probabilmente, “Unchained” rappresenta il loro valore reale nell’attuale panorama del metallo pesante internazionale.

Daniele “dani66” D’Adamo
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