Recensione: Under A Funeral Moon

Di Immortalheart - 26 Gennaio 2004 - 0:00
Under A Funeral Moon
Band: Darkthrone
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Anno: 1993
Nazione:
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95

Nel giorno del mio sacrificio finale l’acciaio gelido incide le mie vene il Sangue macchia la mia pelle il calice d’argento deve essere riempito… (Darkthrone)   Le tenebre calarono,  voci dall’oltretomba penetrarono il gelido silenzio, e fu l’inferno… E’ solo un misero tentativo di descrivere a parole ciò che questa testimonianza del Male allo stato primordiale ricrea all’ascolto. Correva l’Anno Domini 1993, e il black era praticamente alle sue fasi iniziali: non erano ancora venuti alla luce capolavori come “De Mysteriis Dom Sathanas” o “In The Nightside Eclipse”. Nasce quindi “Under A Funeral Moon”:  album sudicio e scomodo che segnerà, nel bene o nel male, qualcosa di diverso, malvagio, misantropico,una nuova era all’insegna del black metal. Il black senza compromessi dei Darkthrone non poteva assumere forma più estrema e aberrante. L’album antimelodico per eccellenza, il vero significato del Metallo Nero interpretato da una gelida e inquietante essenza pagana. Cacofonia finalizzata a se stessa, e il messaggio non poteva essere altrimenti: voi e le vostre fottute t-shirts dei Cannibal Corpse potete anche marcire…questo è quello che vi proponiamo, provate a sopportarlo se ne avete il coraggio! L’artwork rigorosamente in bianco e nero che immortala Fenriz di notte nelle profondità delle foreste norvegesi non poteva accostare immagine più suggestiva a un sound così malefico. La produzione è grezza all’inverosimile, ma appositamente ricercata. La voce di Nocturno Culto arriva direttamente dalle gelide profondità del Maligno, e raggiunge qui i suoi massimi superando in cattiveria lo storico screaming di Dead in “Deathcrush”. I riffs sono ridottissimi, e i tecnicismi praticamente inesistenti. Per non parlare dei testi, che sono di quanto più marcio e insano un poeta della morte potesse concepire. L’intero lavoro è partorito sotto la luce di una pallida e glaciale Luna Funeraria. Un album da temere e ammirare (o disprezzare) per quanta sincerità e odio ci sbatte in faccia. Se con il predecessore “A Blaze In The Northern Sky” i Darkthrone stavano per delineare una netta separazione dal Death delle origini verso un Black senza mezzi termini, qui raggiungono la piena maturazione. Tutto questo fa dei sopraccitati i veri fondatori del genere. Questa opera esprime una filosofia di vita, che, giusta o no, si estrinseca nell’identità nordica di cui il genere è sempre stato cultore. L’isolamento di “Under A Funeral Moon” si concretizza in un desiderio di indipendenza, di riscatto nei confronti del cristianesimo che li ha privati della loro cultura, nichilismo a tutti gli effetti. “Vogliamo l’inferno e lo avremo!” sembra quasi che urlino al mondo intero questi due ragazzi (perché all’epoca di ragazzi appunto si trattava), che della morale cristiana e della commercializzazione musicale, anche la più remota, hanno sempre fatto loro nemico comune. Inutile citare tracce storiche come la lugubre e passionale “Natassja In Eternal Sleep”, oppure la immonda titletrack, di una violenza inimmaginabile. Recensire ogni traccia di questo disco non avrebbe senso. Non ci sono ricercatezze o finezze, lo stile è uguale track by track e, come detto all’inizio, i riffs sono estremamente ridotti. Per tutta la durata dell’ascolto, non sentirete altro che un drumming massacrante, e una chitarra tiratissima che arriva a coprire quasi interamente il basso distorto (che si avverte a malapena). Ma perché allora ascoltare una merda simile? Perché questo è il vero black signori! L’unico, autentico, grezzo, oscuro, inevoluto e senza compromessi. Non potrete dire di averlo conosciuto, senza aver ascoltato un lavoro dei Darkthrone. Questo è il BLACK! Amatelo o disprezzatelo con tutte le forze! 

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