Recensione: Under A Violet Moon

Di Alessandro Zaccarini - 4 Agosto 2004 - 0:00
Under A Violet Moon
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Anno: 1999
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77

Questo Under A Violet Moon, capace di debuttare al numero due delle classifiche giapponesi, esce nel 1999 come secondo capitolo, dopo Shadow Of The Moon, dei Blackmore’s Night. Il duo è un progetto sicuramente strano. Un nuovo corso intrapreso nel 1997 da Ritchie Blackmore, celebre chitarra di mostri sacri del rock comeDeep Purple e Rainbow; affiancato da Candice Night, consorte del guitar-hero e già corista ,a partire dal 1993, sempre di Deep Purple e Rainbow. Dimenticatevi però il vecchio irriverente axe-man perché in questo progetto Blackmore da sfogo a tutta la sua vena folk e acustica, lasciando nel cassetto riffoni e soli devastanti.

L’album si apre proprio con la title-track, Under A Violet Moon. Qui la dolce voce di Candice Night si muove dolcemente e pacatamente su un riff medievaleggiante fatto di una sequenza di mordenti (o ‘trilli’ se preferite un lessico più spartano) che costituisce la struttura dei due versi di questa canzone. Con il ritornello si accelera e il pezzo assume un tono più gioioso e vivace, particolarmente orecchiabile, una musica da fiera primaverile dei tempi che furono. Nella successiva Castles And Dreams aleggia un’atmosfera agli antipodi dell’opener. L’arpeggio di Blackmore si sposa con la voce triste dai tratti rassegnati, dando vita ad una lenta ballata dal sapore malinconico. Con Past Time With Good Company ci troviamo ad ascoltare il primo pezzo tradizionale, in questo caso opera di Enrico VIII, ri-arrangiato da Blackmore. Ad un inizio dal sapore epicheggiante, fatto di ottoni su un cadenzato ritmo di rullante, troviamo presto subentrare una quieta melodia folk a base di chitarra e tamburello. La breve parentesi iniziale sarà ripresa soltanto nel ritornello di metà canzone. Morning Star parte con una melodia di violino per poi volgere improvvisamente la propria condotta verso altri ritmi ed altre direzioni stilistiche, divenendo spensierata e vispa. Avalon è un pezzo pescato dalla tradizione popolare ed ha il sapore di una fiaba in musica… il quadro è semplice e immediato: il menestrello esegue le melodie, mentre una dolce fanciulla racconta a bambini e non, seduti a cerchio per terra, storie di tempi lontani. Possum Goes To Prague è un fraseggio classico di sola chitarra scritto ed eseguito da Blackmore. Qualcosa più spinto verso un panorama più classico e serioso piuttosto che prettamente folk e popolare. Wind In The Willow è un pezzo a due voci, solare, ancora una volta spensierato e cullante, dalle melodie gioviali e luminose. Gone With The Wind nasce dal rumore di una cavalcata, per poi proseguire con un duetto di chitarra e ottoni particolarmente spagnoleggiante. Il tutto però cambia improvvisamente in una canzone quantomeno “strana” per un album del genere, con un assolo elettrico e delle coordinate musicali abbastanza distanti dal resto del lavoro. Ancora una volta siamo di fronte ad un brano tradizionale rimaneggiato dal buon Blackmore. Beyond The Sunset è un’altra strumentale dove Blackmore viene lasciato solo con la sua chitarra acustica e una melodia triste. A questo punto troviamo altri due brani provenienti dalla tradizione popolare: il primo è March The Heroes Home, con il quale il tuffo nel medioevo pare completo. Ma ancora una volta l’inizio epico a base di ottoni e cadenza marziale è soltanto una piccola parentesi, e il pezzo finisce ancora su quei ritmi più blandi e trascinati, ma nonostante ciò anacronistici e evocativi. A seguire c’è Spanish Nights (I Remember It Well) episodio fatto di ritmi, arrangiamenti e melodie dannatamente latineggianti e piuttosto vivaci. Catherine Howard’s Fate, ci presenta una Candice Night affranta e partiture di chitarra acustica lente e quasi scoraggiate. Fool’s Gold riprende i ritmi lenti e la voce particolarmente “narrativa” che più volte si è avuto modo di sentire su questo lavoro. Durch Den Wald Zum Bach Haus è l’ultima strumentale dell’album, probabilmente la più folk e serena. Now And Then è invece un episodio che può suonare strano, con le linee vocali che si muovono tra una dimensione folk ma lasciando, in certi passaggi, l’impressione di venature pop e moderne. Il disco si chiude con la versione completamente acustica di Self Portrait, canzone scritta in compagnia di Ronnie James Dio e targata Rainbow.

Under A Violet Moon è un disco folk, evocativo, ipermelodico e medievaleggiante. Se amate le parentesi acustiche che si trovano, nel bene e nel male, un po’ per tutto il panorama metal, questo album fa per voi. Non troverete distorsioni, elettronica o che altro, se non in casi più unici che rari, a spezzare l’incantesimo. Soltanto strumenti folk come tamburelli e flauti, talvolta sorretti, talvolta sormontati, da tanta, tantissima chitarra acustica: vera protagonista, insieme alla dolce voce di Candice Night, di tutto Under A Violet Moon.

Consigliato per un rilassante viaggio in compagnia di un maestro indiscusso delle 6 corde.

Tracklist:
01. Under a Violet Moon
02. Castles and Dreams
03. Past Time with Good Company
04. Morning Star
05. Avalon
06. Possum Goes to Prague
07. Wind in the Willows
08. Gone with the Wind
09. Beyond the Sunset
10. March the Heroes Home
11. Spanish Nights (I Remember It Well)
12. Catherine Howard’s Fate
13. Fool’s Gold
14. Durch den Wald Zum Bach Haus
15. Now and Then
16. Self Portrait

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

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