Recensione: Under The Moonlight

Di Stefano Ricetti - 20 Luglio 2011 - 0:00
Under The Moonlight
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Anno: 2011
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73

Walpurgis Night: nella tradizione tedesca la notte di Valpurga (Walpurgisnacht) rappresenta la notte delle streghe, che si riunirebbero sul monte Brocken in attesa dell’arrivo della primavera.

In Italia tale nome è associato a un combo di stanza a Torino attivo dal 2009 che giunge al debutto per la My Graveyard Productions dopo un demo omonimo e un valido passaparola fra i fan dell’HM classico che ha suscitato un certo interesse riguardo la proposta dei cinque giovani piemontesi.

Fa sempre enorme piacere scoprire che un manipolo di ragazzi con ancora stampati in faccia i segni di un’adolescenza non da secoli alle spalle si diletti e si sbatta per la causa dell’heavy metal primigenio, soprattutto ripensando a certe autorevoli sirene giornalistiche musical-generaliste di metà anni Ottanta che ne decretarono la fine pressoché imminente. Finché ci saranno gruppi come i Walpurgis Night e tanti altri come loro il caro, sano Metallo continuerà a vivere e a far sognare cospicue moltitudini di adepti.   

Under The Moonlight, album dalla copertina che difficilmente arriverà all’Oscar, si apre con un tuffo all’indietro di trent’anni con Castle Ghoul, brano che pare scritto, consumato e provato in una umida e semibuia cantina di Londra piuttosto che in quel della prima capitale d’Italia. Caratteristica dei Walpurgis Night la pulizia del suono, l’ottima tecnica chitarristica e la timbrica particolare del singer Giuseppe “Beppe” Brugnano, non di certo un  fenomeno ma interprete credibile sebbene lontano dallo stereotipo della tipica e impostata sirena HM. Singer atipico, dal buon potenziale, che lascia intravedere ampi margini di miglioramento nel prossimo futuro ma anche prodigo dispensator di urla in falsetto in stile King Diamond a destra e manca, al bisogno. Non sempre riuscitissimi ma tant’è. Tornando al disco i frequenti cambi di tempo conferiscono all’opener quel quid in più  che rende sufficientemente distinguibile il suono dei Nostri.

Incremento della velocità in Laser Smash, episodio che risalta per i duelli fra le diverse voci ma anche per quelli fra le due asce di Mark Shores e Alex Panza. L’urlo di Beppe si occupa di chiudere il pezzo. Ancora grande riffing in The Assassin, ugola al vento e un devoto inchino al periodo NWOBHM. Non mancano le influenze tedesche a scolpire lo stile variegato ma sempre composto all’interno dei canoni del genere integralista dell’HM in Nightrider, fra Brugnano che si avvicina tantissimo a Klaus Thiel dei teutonici  Bullet in alcuni passaggi all’acido muriatico e un impianto canzone di derivazione Skanners, non a caso più vicini a alla Germania che non a Roma. Visto la resa, val sicuramente la pena di insistere su questa strada per il prosieguo, quantomeno in qualche episodio.

Under the Moonlight conferma la precisione chirurgica del Walpurgis-sound e il ritrovato gusto della melodia che si estrinseca in un bridge di facile presa, piacevole e accattivante. In Invaders With Chains pare di imbattersi nei Running Wild in erba, per un piacevolissimo viaggio a ritroso nel tempo, quando ancora gli amburghesi ci credevano a fondo e si presentavano con trenta chili di borchie addosso, fieramente. Stessa sorte per la successiva Stab In The Back, a suggellare un uno-due made in Germany da brivido.

Ennesima prova di rifferama affilatissimo in Caught In The Act, il pezzo più scanzonato del lotto, autoalimentato da dei brevi cori da concerto che ne decretano fin dal primo ascolto un grado di immediatezza assoluto. Potevano mancare gli Irons in cotanto debutto? Ecco allora servita sul dischetto d’argento la stentorea e marziale Devil Sight all’uopo. Chiusura fra le sferzate di vento e di chitarra fornite dall’enfatica The Temple of Anubis, otto minuti di musica a significare che anche i Walpurgis Night sanno comporre ed interpretare pezzi eroico-galoppanti di spessore, onorando la vecchia e insuperabile scuola britannica, che in quanto a menare e poi rallentare non temeva e non teme tuttora di sfigurare rispetto a niente e nessuno, Mercyful Fate esclusi, per l’occasione.

La peculiarità del debutto dei Walpurgis Night risiede nel fatto di contenere dei pezzi che, seppur ortodossi, si lasciano ricordare, cosa non così scontata come potrebbe sembrare a una prima, rapida, valutazione. Ingenuità e passaggi decisamente acerbi si lasciano tranquillamente perdonare in virtù di una forza penetrativa convincente, figlia di sudore, sbattimenti e pochi capricci di sorta quando c’è da imbracciare gli strumenti sulle assi di un palco degno di tale nome. Booklet di sedici pagine con tutti i testi accompagnati da elaborazioni grafiche e disegni decisamente meglio riusciti di quello posto a mo’ di cover.  

Under The Moonlight costituisce una gran bella sorpresa per un gruppo che se si saprà confermare e migliorare garantirà soddisfazioni tricolori plurime agli amanti dell’HM classico. Probabilmente una scena giovane, agguerrita e di livello come la nostra, a livello di band praticanti, non ce l’ha nessun paese, sia in termini di numeri che di portata. Ovviamente non in termini assoluti, ma tenendo conto di dove viviamo e di quanti ensemble sono coinvolti nell’hard’n’heavy in generale in Italia. Sta a noi darle fiducia e supportarla a dovere.

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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Tracklist:
1. Castle Ghoul     
2. Laser Smash     
3. The Assassin     
4. Nightrider     
5. Under the Moonlight
6. Invaders with Chains
7. Stab in the Back     
8. Caught in the Act     
9. Devil Sight     
10. The Temple of Anubis

Line-up:
Giuseppe “Beppe” Brugnano (Voce)
Mark Shores (Chitarra)
Alex Panza (Chitarra, Voce secondaria)
Sofia Shores (Basso)
Stefano Cavallotto (Batteria)

 

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